di Eugenio Felice
“Sul piano interno – continua la nota dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari – è divenuta urgente l’elaborazione di una strategia complessiva che dia prospettiva al comparto in un’ottica di medio-lungo termine e che sia anche in grado di scongiurare il verificarsi sempre più ricorrente delle crisi della frutta estiva. La questione sarà affrontata a settembre da un tavolo ortofrutticolo nazionale di confronto tra le organizzazioni della filiera. Diverse le priorità che saranno affrontate: il controllo rigoroso sulle merci di importazione, la creazione di un catasto per le produzioni frutticole, l’avvio di campagne di promozione per aumentare la quota di export nei nuovi mercati, la trasformazione dei prodotti ortofrutticoli per gli indigenti, l’assicurazione in caso di calamità contro i rischi di mercato e i cambiamenti climatici”.
“Quest’anno non c’è un articolo che funziona e il rischio è che l’andamento influenzi le nuove produzioni, come l’uva da tavola pugliese che sta partendo con qualche difficoltà”, ci spiega Gabriele Ferri, direttore generale di Naturitalia e coordinatore del Comitato Pesche e Nettarine dell’Organismo Interprofessionale Ortofrutta Italia. “Le ragioni della crisi? Diverse. Prima di tutto non possiamo ragionare come Italia, bisogna allargare l’orizzonte all’Europa: Spagna e Italia sono i leader per la frutta estiva, la Francia si è chiusa sul suo mercato interno, la Grecia dice la sua in particolare su percoche e pesche. La crescita dei quantitativi dell’8-10 per cento in produzione rispetto alla precedente annata sta provocato un calo dei prezzi per la produzione del 30-35 per cento. Sostanzialmente i produttori non coprono i costi di produzione. La situazione più pesante è sui calibri piccoli solitamente confezionati in cestino: al produttore vanno 10/15 centesimi”.
“In realtà i calibri A e AA continuano a cavarsela meglio – continua Ferri – il problema è che quest’anno mediamente abbonda il calibro piccolo, favorito dalla siccità e dalle temperature elevate. La soluzione drastica sarebbe non mettere sul mercato quel +10 per cento, ma non è una strada percorribile, data la disorganizzazione e frammentazione della produzione. Manca la capacità di coordinare l’offerta, in termini quantitativi ma anche qualitativi. Ci sono troppe varietà sul mercato, oltre 200 di pesche e almeno altrettante di nettarine, manca una marca forte e riconoscibile, non esiste un catasto e quindi una mappatura di ciò che viene coltivato in Italia e in Europa pur rappresentando pesche e nettarine il 60 per cento del volume d’affari della frutta estiva. Quello che noi stiamo cercando di fare, come interprofessione, è da una parte segmentare l’offerta, puntando a distinguere le varietà tradizionali da quelle subacide, dall’altra stimolare i consumi con pur modestissime campagne di comunicazione in collaborazione con le catene distributive”.
“La grande distribuzione – conclude Ferri – viene spesso accusata di approfittare di queste situazioni di crisi. Personalmente ritengo che pesche e nettarine a prezzi disastrosi non servano a nessuno, Gdo compresa. In realtà i danni maggiori siamo noi produttori a farceli, perché incapaci di aggregare e gestire l’immissione sul mercato, le catene distributive fanno bene il loro lavoro, perché mai dovrebbero acquistare il prodotto a un prezzo più alto rispetto a quello che vale e maggiore rispetto ai loro competitor? Per quanto non sia facile fare previsioni, speriamo in un finale di stagione con quantitativi simili alla scorsa stagione e conseguentemente quotazioni decenti, in grado di remunerare adeguatamente la produzione”.
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