L’INFORMAZIONE INDIPENDENTE PER PROFESSIONISTI E APPASSIONATI DI ORTOFRUTTA
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                      Il caso delle fragole marocchine spacciate per siciliane. Ma quanto vale il falso made in Italy?

                      A Verona un grossista avrebbe etichettato come origine Marsala (Sicilia) delle fragole del Marocco e un cliente se ne sarebbe accorto. Avendo ricevuto diverse segnalazioni in merito, abbiamo ripreso l’accaduto su Facebook il 31 dicembre, raccogliendo una moltitudine di commenti e reazioni dagli utenti. Se l’indignazione è più che lecita, è anche vero che casi come questo succedono per molti prodotti (qualcuno ricorda il caso Romagnoli raccontato da Report?). Tra le new entry ci sono i kiwi greci e le mele polacche:  nei magazzini entra prodotto straniero ma esce prodotto made in Italy, i conti non tornano. La politica? Dovrebbe occuparsi anche di questi temi, potenziando l’azione di Agecontrol e dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi del Mipaaft…

                       

                      Dalla Redazione

                       

                      fragole-marsalaSi torna a parlare di truffe nell’agroalimentare: questa volta non siamo al Sud, ma nel Nordest, in territorio scaligero precisamente, dove il Capodanno ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Il 31 dicembre, mentre tutti si preparavano per festeggiare la notte di San Silvestro, alla nostra redazione è arrivata la segnalazione di una presunta truffa a Verona. Si trattava di un lotto di fragole provenienti dal Marocco, cui era stata sovra-applicata una nuova etichetta che indicava come produzione Marsala, in Sicilia. Peccato che il cliente se ne sia accorto. Abbiamo fatto quindi delle verifiche e trovato delle mezze conferme, anche da parte di organismi pubblici.

                       

                      “Ma guarda la novità?! Praticamente abbiamo scoperto l’acqua calda, ma mi raccomando: continuiamo a stupirci come se fosse un’eccezione e non una specializzazione”, è il commento di un utente al post sulla nostra pagina Facebook dove abbiamo dato notizia dell’accaduto. L’indignazione dei lettori si è fatta subito sentire. “Pratiche sleali che danneggiano l’intera filiera. – scrive un altro utente – Occorre non solo effettuare controlli nei mercati dove i prodotti arrivano già confezionati, ma intensificare le procedure di controllo tracciabilità nei magazzini di ri-lavorazione, dove arriva anche la merce da Spagna, Egitto o altre provenienze per poi finire nella Gdo in molti casi italianizzata”.

                       

                      Se l’indignazione è più che lecita, purtroppo non c’è da stupirsi che accadano episodi come quello delle fragole marocchine “italianizzate”. Tra i casi più noti ci sono storicamente i pomodori africani che diventano Pachino. Più che di episodi potremmo anche parlare di prassi consolidata, del resto sono gli italiani e quindi la Gdo che chiedono, sempre di più, prodotto nazionale. Italiano e per giunta che costi poco. Tra le new entry ci sono i kiwi greci e le mele polacche: all’Agecontrol risulta che arrivino nei magazzini per essere confezionati molti più frutti esteri rispetto a quelli che poi vengono immessi nel mercato nazionale o estero.

                       

                      È di pochi mesi fa, per citare uno degli ultimi, eclatanti casi, la notizia del falso bio a Verona, dove mele rumene convenzionali venivano vendute come biologiche, dal Consorzio Ortofrutticolo Padano (leggi qui). Andando un po’ più in là nel tempo il caso Romagnoli di cui si era occupato il noto programma Report diretto dalla Gabanelli, con le patate francesi che diventavano con un gioco di carte italiane. “Succede anche a Massafra (Taranto) con i tir carichi di clementine spagnole”, aggiunge un utente su Facebook. “L’uva greca è da aggiungere alla lista”, chiosa un altro. Non manca poi l’indignazione nei confronti di Agecontrol, accusata sul social di mettere i bastoni fra le ruote “solo a chi cerca di lavorare in modo onesto”.

                       

                      Cos’altro aggiungere? “L’occasione fa l’uomo ladro”, dice un celebre proverbio. E c’è chi calcola che il falso made in Italy in ortofrutta sia in aumento e raggiunga oggi addirittura il 30 per cento del commercializzato. Il mercato non paga, ma pretende, e questo è uno dei risultati, a danno degli italiani e degli operatori onesti. La politica dovrebbe occuparsi anche di questi temi, potenziando l’azione di Agecontrol e dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.

                       

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