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                      Francesco Pugliese (Conad): “Il ritorno dell’olio di palma”

                      Per via della guerra in Ucraina l’olio di semi di girasole è destinato a diventare introvabile entro un mese, lo ha dichiarato ufficialmente anche il nostro Governo, e ora si guarda con urgenza agli oli sostitutivi. Il primo di questi è lo stesso che negli ultimi anni è stato al centro di una delle più grandi campagne ‘contro’ nella storia dell’industria alimentare: l’olio di palma. “Praticamente, l’intera industria alimentare è nella palta” chiosa il Ceo di Conad Francesco Pugliese, sottolineando come la campagna contro questo grasso vegetale si sia fondata su presupposti sbagliati. “È arrivato il momento di fare chiarezza – aggiunge -, perché l’olio di palma non fa male e non è vero che non può essere sostenibile”

                      Dalla Redazione

                      “La crisi degli approvvigionamenti generata dalla guerra in Ucraina sta avendo effetti che potrebbero riscrivere le regole delle filiere agroalimentari. Occorre essere attenti, perché questi grandi shock devono essere risolti oggi, senza però peggiorare la situazione di domani. Uno dei grandi temi è la scomparsa dagli scaffali della Gdo dell’olio di semi di girasole, materia prima che noi importiamo direttamente dall’Ucraina in quanto maggiore produttore mondiale. E si prevede che per almeno i prossimi due anni dovremo sostituirlo con una valida alternativa. Quale? Ovviamente l’olio di palma. Praticamente, l’intera industria alimentare è nella palta”. Con queste parole l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese commenta su Linkedin quello che si legge in queste settimane sul web relativamente a quello che ci aspetta nel futuro prossimo, dal momento che lo stesso Governo ha annunciato, tramite una nota diffusa dal Ministero dello Sviluppo Economico, che l’olio di semi di girasole sarà introvabile sugli scaffali già da aprile.

                      Ecco allora che torna grande protagonista della nostra dieta e dei nostri acquisti quello che fino a ieri era il grande male da far sparire per sempre, un prodotto che negli ultimi anni è stato al centro di campagne che lo hanno equiparato al veleno (l’Efsa lo ha definito cancerogeno) e ne hanno demonizzato l’utilizzo anche per il suo impatto sulla biodiversità, tanto che intere filiere e alcuni big brand dei prodotti da forno lo hanno eliminato dalle loro ricette (leggi qui), usando come addensante alternativo, appunto, l’olio di semi. Solo Ferrero in questi anni è rimasta salda sulla sua posizione, continuando a usare l’olio di palma in primis per la sua popolare Nutella.

                      “Tutti ci ricordiamo quanto l’olio di palma sia stato oggetto di una delle più durature e forti campagne ‘contro’ nella storia dell’industria alimentare, che è arrivata a costringere intere filiere a rinunciare a un ingrediente per ragioni irrazionali – continua Pugliese nel suo articolo su LinkedIn -. Questa faccenda è un esempio eccezionale di campagna di comunicazione basata su presupposti veramente sbagliati. Ma ora è arrivato il momento di fare chiarezza, perché l’olio di palma non fa male e non è vero che non può essere sostenibile. Anzi, esistono produttori che hanno scelto la strada della sostenibilità, ed è a loro che adesso ci dobbiamo augurare che l’industria si rivolga. O meglio, altro che augurare. Qui bisogna pretendere”.

                      Conad-Francesco-Pugliese

                      Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad

                      Venendo agli effetti dell’olio di palma sulla salute, un recente studio pubblicato su Nature (disponibile qui) ha confermato come non sia di per sé l’acido palmitico contenuto in questo olio a scatenare i tumori. Sembra infatti che questo grasso saturo agisca sulla memoria genetica solo se delle cellule tumorali sono già presenti nel nostro corpo e possa quindi in questo caso favorire la comparsa di metastasi. Ma come ha puntualizzato in Italia l’Airc: “Con una normale alimentazione è molto difficile raggiungere le quantità che aumenterebbero davvero in modo misurabile il rischio individuale di sviluppare un tumore”. Ancora l’Associazione italiana per la ricerca sul campo precisa: “È consigliabile non abusare di cibi contenenti olio di palma, ma non c’è alcun motivo ragionevole per eliminarli del tutto”, come riporta Tiscali Food Culture.

                      Per quanto riguarda invece la questione della biodiversità, il problema legato alla produzione di olio di palma è quello della deforestazione delle aree pluviali dei paesi del Sudest Asiatico, dove hanno origine le coltivazioni. Per fare spazio alle palme, infatti, i proprietari terrieri in passato sarebbero stati spinti a bruciare ettari di foreste. Una soluzione alla deforestazione potrebbe essere l’uso di olio di palma sostenibile, certificato da standard internazionali, come quelli promossi da Rspo, che non contemplano, per esempio, la deforestazione tra le pratiche di coltivazione. Ad oggi in Italia, nel solo mercato alimentare, almeno il 95% di olio di palma importato è certificato sostenibile. E questa potrebbe essere la strada per il futuro.

                      “La mia personale speranza è che questa faccenda dell’olio di palma ci apra gli occhi, una volta e per tutte, sulla necessità di contrastare per davvero e bene la disinformazione quando si parla di filiere agroalimentari – conclude Francesco Pugliese nella sua nota -. Contrastiamo Nutriscore e andiamo contro a un modello che non ci piace e non ci appartiene, ma lavoriamo anche per essere sempre più bravi nel raccontare alle persone cosa si mettono nel carrello e nella tavola. A togliere di mezzo certe semplificazioni ci si guadagna tutti”.

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