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                      Bestack: attenzione, la ricerca è una cosa seria

                      No a strumentalizzazioni. Il consorzio che raccoglie i produttori di imballaggi in cartone ondulato per ortofrutta fa un commento ai risultati della ricerca portata avanti nell’ambito degli sprechi alimentari e un richiamo a un utilizzo più corretto della leva della comunicazione. La nota, che potete leggere sotto, segue di un mese la pubblicazione di uno studio riferito al mercato tedesco

                      C’è l’attività di ricerca solida, condivisa dalla comunità scientifica – si legge in una nota appena diffuso da Bestack – con tanto di approfondimenti e revisioni prima della pubblicazione e poi la comunicazione corretta e veritiera dei risultati di ricerca ottenuti. Noi crediamo in entrambe. Per questo le aziende italiane che producono imballaggi di cartone ondulato per ortofrutta hanno costituito Bestack. Perché ci fosse un’entità terza di settore che svolgesse attività di ricerca in collaborazione con i principali istituti di ricerca. Facoltà di Ingegneria di Bergamo nel caso della logistica del largo consumo, Politecnico di Milano per le ricerche di LCA e Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna, sede di Cesena, per la valutazione della qualità microbiologica degli imballaggi e lo studio delle relazioni tra imballaggi e shelf-life degli ortofrutticoli confezionati (leggi la news dedicata). Processi di ricerca lunghi e complessi che spesso hanno richiesto approfondimenti, riflessioni e revisioni da esperti per convincere prima di tutto l’equipe di ricerca sulla solidità dei dati e sulla loro rappresentatività e solo in seguito pubblicare i risultati. La solidità della ricerca è tanto più imprescindibile quanto il tema è importante e sotto la lente di ingrandimento dell’opinione pubblica, come nel caso della riduzione dello spreco alimentare, in quanto ha delle profonde ripercussioni su esso.

                      Conscio di questa importanza, Bestack ha affrontato il tema iniziando un progetto di ricerca con l’Università di Bologna ormai quattro anni fa per cercare di analizzare ruolo e interazione tra imballaggio per ortofrutta e prodotto non consumato, alterazione, sicurezza, durata commerciale, qualità del prodotto. L’obiettivo è perseguire un’attività di ricerca solida che ottenga risultati reali, applicabili al contesto, utili agli operatori. I produttori ortofrutticoli italiani sono pragmatici. Il produttore vuole sapere se la sua produzione viene acquistata e non sprecata, quale imballaggio valorizza di più il suo prodotto, chi lo aiuta a vendere meglio, quale lo protegge di più, in sintesi qual è l’imballaggio migliore nel suo caso specifico. Non gli è di grande utilità – in quanto è una valutazione irrealistica – conoscere quale sarebbe un’ipotetica riduzione dello spreco se un intero Paese diverso dall’Italia adottasse esclusivamente un solo tipo di imballaggio per l’intera commercializzazione di ortofrutta.

                      Per fornire dati certi e utili occorre andare nel dettaglio e capire da dove deriva lo spreco, quali elementi lo facilitano e come ridurlo. È sicuramente spreco la parte di produzione ortofrutticola commercializzata che si perde nella catena distributiva e tante sono le variabili che incidono sul depauperamento del prodotto nella commercializzazione come errate condizioni di trasporto, interruzione della catena del freddo, sollecitazioni nel trasporto, errori di pallettizzazione, fino ai cedimenti e alle rotture degli imballaggi. In funzione, quindi, delle concatenazioni tra fattori non è semplice attribuire con certezza la responsabilità dei danni a uno o più dei fattori precedentemente indicati, a meno di non svolgere analisi su campioni ragionati, prelevati secondo piani sperimentali robusti, o casuali che siano, comunque sufficientemente rappresentativi dell’universo indagato e numericamente molto ampi. Esemplificando, il mercato distributivo italiano degli imballaggi per ortofrutta vale quasi 2 miliardi di pezzi e per svolgere ricerche solide occorrerebbe analizzare campioni di centinaia di migliaia di pezzi.

                      Analisi condotte su campioni molto ridotti rischiano di essere molto pericolose e il risultato che ne deriva rischia di essere facilmente smentito. Se comunicato senza chiarezza diventa informazione confusa e fuorviante. Per questo il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna – sede di Cesena – ha utilizzato un approccio diverso e più solido, evitando di partire da un campione poco rappresentativo della realtà e analizzando materiali diversi posti nelle medesime condizioni sperimentali. Con l’obiettivo di comprendere le interazioni tra prodotto ortofrutticolo contenuto e imballaggi di diverso materiale, al netto delle infinite modalità e condizioni di impiego difficili da pesare. Lo staff universitario che ha condotto lo studio ha capovolto la logica tradizionale, ponendo la medesima carica di microrganismi su diverse tipologie di imballaggio, con la finalità di “isolare” la responsabilità dell’imballaggio nel contaminare i prodotti ortofrutticoli.

                      Lo studio ha misurato le migrazioni di microrganismi in grado di alterare il prodotto (indicatori di contaminazione fecale o degradativi) calcolando la percentuale di prodotti che si deterioravano nelle diverse tipologie di imballaggio o la probabilità di trasferimento dei microrganismi dall’imballaggio al prodotto confezionato. I risultati hanno evidenziato che tra i diversi imballaggi in alcuni casi ci sono differenze del 90% nelle probabilità di trasferimento e incrementi della shelf-life di oltre 3 giorni nel caso di confezionamento in cartone ondulato. Questo nel caso della frutta estiva si traduce in una drastica riduzione dello spreco alimentare e in un significativo incremento della qualità della frutta dal punto vendita fino alle tavole dei consumatori. Se si opera con spirito di servizio per ridurre gli sprechi nella filiera ortofrutticola, come è giusto che lo faccia Bestack, forse è prioritario comprendere quali variabili intervengono nella distribuzione dei prodotti, come sono diversi i singoli casi su cui incidono, come è strutturata la filiera, quali sono le differenze logistiche degli operatori, cercando di concentrare le indagini tenendo quindi in considerazione il più alto numero di variabili specifiche di ogni singolo caso. È meno utile assolutizzare, e forse è anche pericoloso.