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                      Lattuga romana infetta, quando la statistica “sgonfia” la fobia collettiva

                      In Usa impazza la fobia della lattuga romana infetta da E. Coli. Nel giro delle ultime settimane sono state una cinquantina le persone infette in 15 stati Usa, fortunatamente senza esiti letali. Ma mentre il Cdc – l’organismo di controllo sulla sanità pubblica Usa – mette in guardia consumatori, ristoratori e retailer dal consumare e vendere lattuga fino a quando l’ondata epidemica non sarà passata, e questo allarme provoca ingenti perdite al settore, c’è chi fa un appello alla razionalità. Si tratta di Jim Prevor, celebre personaggio dell’ortofrutta Usa che,  in un pezzo sul The Wall Street Journal, consiglia di considerare il fenomeno con l’aiuto dei numeri e della razionalità per ridimensionare quella che considera una reazione collettiva decisamente spropositata

                       

                      di Massimiliano Lollis

                       

                      lattuga Romana Usa

                      In Usa sono ingenti le perdite nel mercato di lattuga romana a causa dell’epidemia da E. Coli (copyright: Fm)

                      Anche se le emozioni giocano da sempre un ruolo fondamentale nella percezione sociale dei fatti di cronaca, viviamo indubbiamente in un’epoca in cui, complice il mondo dei social media, è sempre più difficile distinguere i fatti dalle “fake news”, parola che come sappiamo tutti andare oggi particolarmente di moda. E così le fobie collettive trovano terreno fertile, si trasmettono – proprio come virus – in modo capillare e incontrollato, conquistano vaste platee di pubblico. Questo accade nella cronaca, nella politica – oggi più che mai -, ovunque. Uno degli ultimi casi di reazione collettiva “gonfiata” è probabilmente quello della lattuga romana infetta da E. Coli in Usa. Nelle ultime settimane sarebbero state circa cinquanta le persone colpite (nel momento in cui scrivo 52), fortunatamente senza alcun esito letale, mentre in vista del Thanksgiving Day l’organismo di controllo sulla sanità pubblica (Centers for Disease Control and Prevention, o Cdc) aveva diramato un comunicato per mettere in guardia consumatori, ristoratori e retailer dal consumare, vendere o acquistare lattuga romana. Il risultato pressoché immediato – per il mercato della lattuga Usa – sono state perdite ingenti, che qualcuno quantifica in decine di milioni di dollari. 

                       

                      A questo punto c’è chi ha deciso di reagire: si tratta di Jim Prevor, analista ed esperto dell’ortofrutta Usa, giornalista editore di Produce Business, a capo del più celebre evento b2b dedicato al mondo dell’ortofrutta, il New York Produce Show and Conference. Prevor – al quale evidentemente non mancano le idee e il coraggio di esporle – lo scorso 29 novembre ha deciso di difendere il settore scrivendo un pezzo dal titolo Lettuce Try Not to Panic per The Wall Street Journal. Nell’articolo Prevor dice in definitiva una cosa molto semplice. Ovvero: l’allarme lanciato dalle autorità in queste settimane ha causato perdite ingenti nel settore, ma analizzando il fenomeno a mente fredda, con l’aiuto dei numeri, il fenomeno appare decisamente ridimensionato. 

                       

                      Ma vediamo nel dettaglio gli esempi di Prevor. “Da quanto sappiamo – spiega – le persone finora infettate da E. Coli sono state 43 (n.d.r., ora 52), delle quali solamente 16 sono state ricoverate in ospedale. Secondo le rilevazioni del Cdc – che ne ha intervistate 25 – l’88% di queste ha detto di avere mangiato lattuga romana la settimana precedente alla comparsa dei primi sintomi, a fronte di una stima del 47% di popolazione Usa che consuma abitualmente lattuga romana. Considerando che la popolazione Usa – continua Prevor – è di circa 326 milioni, se il 47% della popolazione consuma lattuga romana ogni settimana, si tratta di circa 153 milioni di persone”. 

                       

                      A questo punto, continua, “Sapendo che l’infezione si è diffusa (sempre secondo il Cdc)  in un periodo di circa tre settimane (dall’8 al 31 ottobre) – se ipotizziamo che ognuna di quelle 153 milioni di persone abbia consumato come minimo una porzione di lattuga romana ogni settimana, allora possiamo pensare che siano 459 milioni le porzioni consumate nel corso delle tre settimane in cui l’infezione è stata trasmessa. Questo significa – conclude Prevor – che le probabilità di ammalarsi mangiando lattuga sono circa 1 su 11 milioni, che diventano meno di 1 su 28 milioni considerando la probabilità di finire all’ospedale”.

                       

                      Jim Prevor, editore di Produce Business ed esperto dell’ortofrutta Usa all’evento The London Produce Show and Conference (Foto: Produce Business Uk)

                      Una probabilità che appare ancora più remota se messa a confronto con le probabilità di fare scala reale a poker (1 su 649.740) e quella, per un golfista alle prima armi, di mandare una palla in buca al primo colpo (1 su 12.000). Le probabilità di venire uccisi da un cane poi – continua Prevor – sono 1 su 112.000, mentre quelle di essere colpiti da un fulmine in un particolare periodo dell’anno sono circa 1 su un milione. Non solo: “Se l’infezione fosse attiva ogni giorno e un consumatore mangiasse un’insalata al giorno – scrive Prevor – in media quel consumatore potrebbe rischiare di finire all’ospedale una sola volta in “appena” 77mila anni!” Prevor ricorda infine che chi rischia maggiormente sono, come risaputo, persone con un sistema immunitario debole, come anziani e pazienti che seguono terapie particolari. “Tutti soggetti che, infatti – ricorda Prevor – proprio per questa ragione sono messi in guardia dal consumare cibi che possano contenere patogeni”. 

                       

                      E così – questa è la lezione di Jim Prevor – basta considerare la cosa in termini razionali per ridimensionare notevolmente la portata di quest’ultima ondata di fobia collettiva. Prevor ricorda infine che le autorità – come la Food and Drug Administration – hanno dichiarato di lavorare con produttori e distributori per etichettare i prodotti “sicuri”, quando l’epidemia di E. Coli sarà finita. “Ma anche per i prodotti post-purge (ovvero successivi a questa ondata, n.d.r.) – ricorda Prevor – esisterà pur sempre un rischio, seppur infinitesimale”. L’autore ricorda che è risaputo che gli ortaggi, essendo coltivati all’aria aperta, possano venire a contatto con animali e persone e quindi patogeni, ma è ugualmente risaputo che oggi i coltivatori in Usa siano obbligati ad adottare misure di sicurezza alimentare particolarmente elevate, che riducono notevolmente il rischio di contrarre patologie. Anche perché la produzione agricola all’aria aperta, se da un lato può aumentare i rischi, dall’altro permette di tenere i prezzi ad un livello umano: “Preferiremmo – si chiede Prevor – pagare 50 dollari a testa per una lattuga cresciuta in ambienti high tech e sicuri al 100%?”

                       

                      In ogni caso, se il rischio viene efficientemente ridotto al minimo, di certo non può essere escluso totalmente, ma questo è un discorso che vale per tutti gli ambiti del nostro quotidiano. “La questione è che – conclude Prevor – i coltivatori, così come i produttori di aeroplani e macchine, non possono garantire la sicurezza totale. Allo stesso tempo  però, troviamo normale che la gente possa giudicare da sé il rischio di un viaggio in macchina, o in aereo. Non dovremmo quindi lasciare alla gente anche la libertà di mangiarsi un’insalata?

                       

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