Dalla Redazione
Un nuovo packaging che punta a un’immagine “fresca e spensierata”, rimandando al contempo ai valori e alla sostenibilità dell’universo del biologico, in cui questa azienda bergamasca è specializzata. Stiamo parlando della nuova confezione della linea bio “Fresca e Pura”, gamma premium di insalate pronte al consumo di Orto Bellina, azienda di Gorlago (BG) che fin dalle sue origini, nel 2001, ha deciso con lungimiranza e non poco coraggio di puntare esclusivamente sul biologico per le insalate pronte al consumo, che distribuisce in Gdo sia a marchio proprio che con la private label di alcune principali insegne distributive.
Parlando del nuovo packaging con Cristian Bellina, oggi socio dell’azienda al fianco dei genitori, fondatori di Orto Bellina, cogliamo l’occasione per fare una panoramica sul settore della quarta gamma, che da tempo ormai si trova in sofferenza, stretto in una congiuntura negativa fra aumento dei costi e calo dei consumi, oltre al cambiamento climatico che di certo non aiuta a livello produttivo.
Nuovo packaging della linea premium a vostro marchio: quali sono le novità dal punto di vista del layout?
Il colore dominante, nella parte bassa, è il verde della natura, colei che ci permette di attingere per la produzione dei nostri beni. Nella parte alta troviamo invece l’azzurro, il colore del cielo, che conduce la mente in un viaggio verso spazi sconfinati. Infine un bollino lancia un messaggio che strizza l’occhio al mondo dei social. Per ultima, ma non per importanza, nella busta una finestra dalle grandi dimensioni permette di osservare al meglio il prodotto contenuto al suo interno.
IV gamma, qual è ad oggi la situazione del comparto?
Purtroppo quello che si era già iniziato a osservare qualche anno fa sta continuando a emergere: i costi del settore stanno continuando a moltiplicarsi e a salire a dismisura. Per contro, i prezzi di vendita sono pressoché rimasti gli stessi, a parte qualche piccolo ritocco, ma si tratta di cifre marginali, troppo basse per tenere il passo dei costi, che, come detto, marciano a una velocità insostenibile.
Qual è a suo avviso l’origine del problema?
Il mondo dell’agricoltura da sempre è considerato un mondo “povero” perché appunto parte dalla terra. Oggi lo si sta troppo interpretando a livelli superiori, quasi come un settore dell’industria farmaceutica, ma noi non abbiamo quei margini. Non abbiamo quelle possibilità. E quindi ecco che ci troviamo nella situazione di difficoltà. Negli anni sono continuati ad aumentare i costi di industrializzazione, di certificazioni, di controlli, di autocontrolli. Costi difficili da sostenere. Inoltre la concorrenza è cresciuta sempre di più e ovviamente porta a una diminuzione del prezzo di vendita.
Costi di produzione che lievitano progressivamente e prezzi che da cinque anni sono sostanzialmente stabili: va da sé che i margini, per le aziende del settore, sono sempre più erosi…
I prezzi di vendita sono difficili da aumentare, anche perché la grande distribuzione si trova ad affrontare la difficile situazione delle famiglie, il cui potere d’acquisto è sempre più ridotto per via dell’ormai noto contesto inflattivo. Queste, per spendere di più, avrebbero bisogno dell’aumento degli stipendi: ma come fanno le aziende ad aumentare gli stipendi se non generano margini? Purtroppo ci ritroviamo nella classica situazione del cane che si morde la coda.
Come si esce da questa congiuntura negativa?
A mio parere è fondamentale riuscire a ottimizzare le produzioni e le lavorazioni. Concentrarci su una modalità di prodotto e cercare di fare gruppo: in questo modo si può far fronte a una serie di costi che si generano di continuo. Mi rendo conto che questa cosa non è di facile attuazione, ma a mio parere è l’unica soluzione possibile: concentrarci su determinati articoli, cercare di alzare la qualità diminuendo i costi che vanno ad erodere la marginalità. Evitare dispersioni produttive. Un’azienda che genera profitto può investire in risorse umane e in qualità. Un’azienda che lavora per zero profitto non può avere futuro.
Com’è la situazione per un’azienda come la vostra, che tratta esclusivamente prodotto biologico?
È ancor più difficile, perché ci rivolgiamo a una nicchia di consumatori. Ancora oggi la fa da padrone il prodotto convenzionale, il bio è ancora una piccola goccia in questo mare. Dal nostro punto di vista sarebbe ideale riuscire a incrementare la linea bio cercando di renderla un punto di riferimento per i consumatori di biologico.
Come vede il fenomeno emergente del vertical farming?
Ho avuto modo di osservarlo e bisogna ammettere che il prodotto è eccellente. Le discriminanti sono sempre due: come un consumatore percepisce un’insalata prodotta in laboratorio e – seconda e non meno importante – quanto sia sostenibile questa tecnica.
Cosa c’è nel futuro del comparto?
Il mio auspicio è che la situazione del mondo della IV gamma possa trovare una direzione positiva per poter uscire da questo tunnel: il punto di partenza è sicuramente il ritorno a una gestione più semplice e meno sofisticata.
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