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                      Patate e falso made in Italy, Giulio Romagnoli rinviato a giudizio con Gamberini, Covone e Chiesa

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                      Patate e falso made in Italy agroalimentare, Giulio Romagnoli rinviato a giudizio con Claudio Gamberini (all’epoca dei fatti responsabile nazionale acquisti ortofrutta di Conad), Antonio Covone (importatore ed esportatore di patate di Napoli) e Roberto Chiesa (direttore commerciale Romagnoli F.lli Spa). L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata a commettere frodi ai danni della grande distribuzione. “Il grande bluff delle patate” titolava il 31 ottobre 2019 il Corriere di Bologna. “Alla sbarra Romagnoli, re delle patate”, titolava invece La Repubblica, edizione di Bologna, nello stesso giorno. Dietro le sbarre nei fatti non ci è ancora andato nessuno, ma il giudice Gianluca Petragnani Gelosi ha emesso le prime sentenze il 30 ottobre, condannando con rito abbreviato Grazia Romagnoli, sorella di Giulio, a dieci mesi di reclusione (pena sospesa) per corruzione tra privati. Della vicenda si era occupata anche Report, la nota trasmissione televisiva allora diretta da Milena Gabanelli, con il servizio “patata bollente” andato in onda nella primavera 2014

                      Dalla Redazione

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                      L’Italia consuma più patate di quelle che produce

                      +++ Aggiornamento del 12 gennaio 2023: “Patate gate, Giulio Romagnoli assolto con formula piena” +++

                      +++ Aggiornamento del 1 dicembre 2023: “Patate e corruzione tra privati, assoluzione per Grazia Romagnoli” +++

                      Sembrava dovesse andare tutto in prescrizione, invece il 30 ottobre 2019 sono arrivate le prime due condanne con rito abbreviato nell’ambito di quello che è stato ribattezzato “patata-gate”, processo che ha coinvolto, in particolare, la Romagnoli F.lli Spa, azienda di Molinella alle porte di Bologna con 90 anni di storia, tra i leader in Italia nelle patate – nel 2018 ha fatturato 33,4 milioni di euro e commercializzato 56 mila tonnellate di patate – e socio di “peso” del Consorzio di Tutela Patata di Bologna DOP e del Consorzio Patata Italiana di Qualità, noto al grande pubblico per il marchio Selenella. Il suo amministratore delegato, Giulio Romagnoli, è da molti anni presidente della Commissione Patate di Fruitimprese ed è stato patron della Biancoblù Basket Bologna, società nata dalle ceneri della Fortitudo, oltre che uno dei “Protagonisti” dell’ortofrutta italiana nel 2017.

                      Il giudice Gianluca Petragnani Gelosi, nell’udienza preliminare dell’inchiesta ribattezzata “patata-gate” che si è svolta il 30 ottobre, ha condannato con rito abbreviato Grazia Romagnoli, sorella di Giulio Romagnoli, a 10 mesi di reclusione (pena sospesa) per corruzione tra privati, assolvendola però dall’accusa di associazione a delinquere. Per lei il giudice ha anche stabilito la pena accessoria dell’interdizione da cariche direttive in società per un periodo di dodici mesi. È stato condannato a un anno di reclusione Michele Manenti – anche per lui pena sospesa – accusato di calunnia nei confronti di un agente della Forestale. Per l’agente il giudice ha anche stabilito una provvisionale di 20 mila euro, mentre per le parti civili Conad e Coldiretti ha stabilito una provvisionale di 5 mila euro ciascuno, a carico di Grazia Romagnoli, oltre al risarcimento dei danni da liquidare in sede civile.

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                      Giulio Romagnoli

                      Sono stati invece rinviati a giudizio Giulio Romagnoli – che si è sempre dichiarato estraneo ai fatti: “Se fosse vero saremmo autolesionisti” – Antonio Covone, legale rappresentante della Covone Srl di Marigliano (Napoli) specializzata nell’import export di patate (suo fratello Domenico era stato arrestato per usura nel 2011), Claudio Gamberini, all’epoca dei fatti responsabile nazionale acquisti ortofrutta di Conad, e Roberto Chiesa, direttore commerciale di Romagnoli F.lli Spa. Per la Procura di Bologna parteciparono all’associazione a delinquere finalizzata a commettere frodi ai danni della grande distribuzione. Questo quanto stabilito il 30 ottobre dal gup Gianluca Petragnani Gelosi nell’udienza preliminare dell’inchiesta ribattezzata “patata-gate” in cui erano indagate 23 persone tra dirigenti della grande distribuzione e dei consorzi Patata DOP e Patata Italiana di Qualità. Per i pm Marco Forte e Manuela Cavallo, tra il 2013 e il 2014, patate provenienti da Francia, Inghilterra e Paesi extracomunitari venivano certificate come italiane e così finivano sugli scaffali dei supermercati. Tra le parti offese anche Esselunga e Pam.

                      La videnda è stata portata all’attenzione del grande pubblico da un servizio mandato in onda nella primavera 2014 da Report, la nota trasmissione di Rai 3 allora diretta da Milena Gabanelli, dal titolo “patata bollente“. Il servizio ricostruiva la presunta frode alla grande distribuzione e a cascata ai consumatori. Come scriveva Il Sole 24 Ore all’epoca dei fatti: “Patate in partenza dalla Francia (principale produttore europeo del tubero) con bolle d’accompagnamento francesi trasformate in italiane grazie al filtro intermedio di alcune società commerciali, come la padovana Agriveneto (controllata dalla Dorata, azienda a sua volta partecipata al 20% dalla Romagnoli) e la napoletana Covone Srl. Così le patate made in France, dove le maglie dei trattamenti fitosanitari sono molto più larghe che da noi e i costi di alcune varietà più bassi grazie alle grandi economie di scala, sarebbero diventare italiane al 100%”. Tutto da verificare comunque il ruolo della grande distribuzione: vittima o complice silente di questa possibile frode al consumatore finale?

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