L’INFORMAZIONE INDIPENDENTE PER PROFESSIONISTI E APPASSIONATI DI ORTOFRUTTA
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                      Il pecorino, le clementine e il sogno del prezzo minimo garantito

                      Coop-pecorino-sardo-latte

                      Coop Italia è stata tra i primi gruppi distributivi a schierarsi a fianco dei pastori sardi

                      Le clamorose proteste dei pastori sardi delle ultime settimane hanno avuto già i primi risultati: alcuni gruppi distributivi hanno deciso di riconoscere loro un prezzo minimo che arriva a 1 euro al litro. Anche Eurospin ha fatto dietrofront, dopo aver fatto un’asta al doppio ribasso proprio sul pecorino romano nei giorni in cui infuriava la protesta. In attesa di capire che decisioni prenderà la politica sul tema, sempre che ne prenda, il settore ortofrutticolo, disaggregato e fatto di tanti, troppi campanili, si interroga sul suo futuro, sempre più a rischio per l’incalzare sui mercati globali della concorrenza estera

                       

                      di Eugenio Felice

                       

                      Coop-pecorino-sardo-latte

                      Coop Italia è stata tra i primi gruppi distributivi a schierarsi a fianco dei pastori sardi

                      L’agricoltura soffre da troppo tempo di una svalutazione economica e sociale dovuta alle politiche del sottocosto, determinate dalle logiche della GDO – grande distribuzione organizzata che scarica a valle della filiera gli effetti di promozioni e offerte ai consumatori che, nei fatti, vengono pagate da chi il cibo lo produce davvero”. A scrivere questa “accusa” non sono i produttori di clementine calabresi o quelli di pomodorino siciliano, ma i pastori sardi che nelle ultime settimane sono balzati all’attenzione dell’opinione pubblica per le loro proteste plateali. “Pensiamo che i consumatori siano disponibili ad acquistare prodotti con un prezzo equo – aggiungono i pastori, ma è tutto da verificare – e per questo chiediamo che Eurospin si impegni a interrompere la pratica delle aste al ribasso e a riconoscere da qui in avanti il giusto margine anche a noi allevatori”.

                       

                      L’idea del prezzo minimo per il latte ovino ha acceso subito gli animi degli agricoltori italiani. Abbiamo letto e sentito commenti di ogni genere. Se ce la fanno loro – ma ad oggi non è stata presa ancora alcuna decisione definitiva a livello politico – perché non fissare un prezzo minimo anche per frutta e ortaggi che versano in uno stato di difficoltà senza precedenti, per l’incalzare della concorrenza estera sempre più competitiva in termini di qualità e prezzi? Innanzitutto nessuno ha detto che una cosa è parlare del latte che poi viene trasformato in formaggio, una cosa è parlare di un frutto della terra soggetto alle bizze del clima e che tal quale viene portato sui banchi di vendita. Poi parlare di prezzo minimo garantito è contro ogni logica di mercato, un grigio ricordo dell’economia pianificata di stampo sovietico.

                       

                      Altro aspetto di cui ci pare nessuno abbia finora parlato: il prezzo minimo ha tra le sue logiche conseguenze un prezzo più alto per il consumatore finale. Come reagirà? Se il portafoglio è quello, forse ne comprerà di meno? Poi il rischio di impresa dove va a finire? Se lo devono assumere tutti gli attori della filiera, compresi i gruppi distributivi che certo non vivono un momento di “grassa”, ma non l’agricoltore? I prezzi li fanno il mercato nazionale e internazionale, se i produttori di latte sardi o quelli di clementine calabresi (solo per fare un esempio) non riescono ad ottenere un prezzo in grado di coprire i costi, probabilmente è perché siamo in una fase di squilibrio, in cui l’offerta sia in termini quantitativi che qualitativi non è in linea con la domanda. Da tempo si predica il produrre meno, produrre meglio. Ma non basta.

                       

                      Più che del prezzo minimo garantito, il settore andrebbe messo in condizione di essere più competitivo. Il rischio concreto è che tra qualche anno all’ortofrutta italiana resti solo il mercato interno. Le mele polacche, le arance spagnole, i kiwi greci, solo per prendere alcuni esempi eclatanti, stanno mettendo fuori mercato le nostre produzioni in Europa e nel mondo per un rapporto qualità prezzo sempre più favorevole. Servirebbe un intervento di sostegno da parte della politica, da una parte aprendo nuovi mercati come da anni richiede Fruitimprese, dall’altra dando delle agevolazioni alle aziende che investono e si aggregano. Servirebbe anche però che il settore abbia una rappresentanza unitaria, come da anni scriviamo, mentre oggi è diviso in una moltitudine di associazioni, per avere più peso nelle stanze che contano.

                       

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