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                      Sostenibilità: consumatori attenti e aziende opache. Nel mezzo il marketing

                      Oggi i consumatori danno la priorità alla reputazione aziendale, al suo impegno in termini di sostenibilità, etica e ambiente ancor prima che al prezzo del prodotto da acquistare. A sottolinearlo un rapporto di ConsumerLab, che evidenzia anche come gli strumenti per valutare e misurare la reputazione aziendale esistono e altro non sono che i bilanci di sostenibilità, ma spesso le aziende non li redigono o pubblicano bilanci di sostenibilità fumosi, autoreferenziali, generici, pieni di luoghi comuni e volutamente complessi da leggere. Restano quindi solo il marketing e la pubblicità a comunicare la sostenibilità di un’azienda al consumatore, ma dei quali, molto spesso, non possiamo avere garanzie di trasparenza e veridicità di quanto affermano. “Siamo ancora un Paese dove il mercato vede i consumatori come prede più che partner di sviluppo e dove le imprese producono senza parlare del futuro”, sottolinea il rapporto ConsumerLab

                      Dalla Redazione

                      sostenibilità

                      Dal rapporto redatto dell’ente di ricerca ConsumerLab insieme alle associazioni di consumatori Adiconsum, Adoc, Federconsumatori e Comitas, è emerso che oggi, quando acquistiamo un prodotto, prestiamo attenzione alla reputazione aziendale che lo produce, ai suoi impegni nei confronti dell’ambiente e alla sua sostenibilità prima ancora che al prezzo del prodotto. Di fatto sembra che preferiamo spendere anche un po’ di più, se il prodotto che acquistiamo è frutto di una gestione aziendale sostenibile, attenta, che rispetta i diritti dei lavoratori e dei fornitori, e che investe per ridurre il suo impatto ambientale. Infatti, nel corso delle 32.000 interviste condotte per la ricerca, emerge che nel 2020 solo il 35% ritiene che sia il prezzo a influenzare l’acquisto più di ogni altra cosa. Cinque anni fa era il 46%. Dall’altra parte la reputazione dell’azienda influenza il 32% degli intervistati, una percentuale doppia rispetto al 2015, quando si fermava al 16%.

                      Sembra però che il bilancio di sostenibilità, quel documento redatto dalle aziende che dovrebbe indicare i propri impegni nei confronti dell’ambiente, della sostenibilità e il loro approccio etico, sia poco conosciuto dai consumatori e che spesso le aziende ne approfittino non pubblicando alcun tipo di bilancio di sostenibilità o creandone di fumosi e pieni di retorica, redatti dalle imprese solo per ottemperare ai propri doveri, senza tuttavia la volontà di comunicare agli utenti il loro reale impegno in favore della sostenibilità. Dalle 1.500 imprese analizzate, infatti, è emerso che l’80% non redige alcun bilancio di sostenibilità. Queste aziende, quindi, non forniscono alcun elemento per poter valutare la loro attività in favore di ambiente e sostenibilità né per verificare quanto affermato dalle proprie campagne pubblicitarie. Il restante 20% non sembra andar meglio: redige bilanci fumosi, autoreferenziali, generici, pieni di luoghi comuni e volutamente complessi da leggere.

                      Il risultato è che il consumatore si trova in balìa di marketing e pubblicità che risultano essere l’unico veicolo di informazioni sulla sostenibilità del prodotto, ma delle quali, molto spesso, non possiamo avere una prova della veridicità. Queste sono solo alcune delle considerazioni che si possono trarre dal rapporto dell’ente di ricerca ConsumerLab. Rapporto che nelle sue parole non lascia spazio a molti dubbi: “Nei pochi bilanci, le aziende vedono una società dove comunità e istituzioni non sono un riferimento effettivo; un territorio dove l’ambiente è subalterno e la biodiversità è ignorata; un mercato dove i consumatori sono ritenuti ancora prede più che partner di sviluppo e dove le imprese producono senza parlare del futuro”.

                      “La pandemia ha solo accelerato un processo che era già in atto – spiega il presidente nazionale di Adiconsum Carlo De Masi – e le aziende non possono più ignorare le esigenze dei consumatori. Vogliamo incontrarne più possibile, ottenere impegni e attivare delle strutture dedicate al monitoraggio di questi impegni”. Ma allo stesso tempo, aggiunge De Masi, le stesse associazioni devono ripensare il proprio ruolo: “Finora siamo sempre intervenuti a valle, quando c’è una bolletta sbagliata o una truffa. Il nostro lavoro ora dovrà rivolgersi sempre più alla prevenzione, all’educazione del consumatore perché compia delle scelte informate. Pretendere dei bilanci di sostenibilità snelli, chiari e concreti è un passaggio fondamentale”.

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