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                      Uva da tavola: prezzi concorrenziali, vola l’export. Ismea: “Cauto ottimismo”

                      Meno volumi ma buona qualità complessiva e prezzi al dettaglio “concorrenziali” rispetto ad altra frutta più colpita dal maltempo: secondo la fotografia di Ismea, c’è un “cauto ottimismo” sul prosieguo della campagna dell’uva da tavola 2020. Il calo di resa per ettaro registrato in alcuni areali vocati del Sud è infatti compensato dall’entrata in produzione di nuovi impianti dedicati alle più competitive uve senza semi. E l’export, a cui è destinata quasi la metà della produzione italiana, si è aperto in modo ottimale, con una crescita del 35%

                      Dalla Redazione

                      uva da tavola

                      Uva da tavola, secondo Ismea la campagna 2020 prosegue con cauto ottimismo

                      Un’annata fra luci e ombre, quella dell’uva da tavola italiana. I danni da maltempo che riguardano alcuni areali vocati del Sud, dove si registra un calo produttivo, vanno infatti di pari passo con il debutto di nuovi impianti e con una buona qualità complessiva. I prezzi al dettaglio sono interessanti e l’export ha avuto un esordio ottimale. A scattare una fotografia del comparto è Ismea con il suo ultimo focus “Tendenze Frutta fresca”, incentrato in questo trimestre sull’uva da tavola. In termini di quantità, spiega Ismea, la produzione italiana risulta nella media degli ultimi anni. Il calo delle rese per ettaro è stato compensato da una rinnovata offerta di uve senza semi: stanno infatti aumentando sia gli ettari investiti, sia le varietà in produzione.

                      Per quanto riguarda il mercato, la fase all’origine ha vissuto finora momenti differenti con prezzi altalenanti e non sempre giudicati soddisfacenti dai produttori, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da un livello di resa per ettaro medio-basso. “Nella fase al dettaglio, invece, le vendite sono procedute regolarmente agevolate da un profilo qualitativo buono – sottolinea Ismea – e da un prezzo che, quest’anno, risulta particolarmente concorrenziale rispetto alle altre specie di frutta estiva, in particolare a pesche e nettarine, che spuntano prezzi alti a causa della scarsità dell’offerta”.

                      Una nota positiva poi viene dall’export. La campagna commerciale verso i Paesi esteri si è aperta in modo ottimale, non tanto dal punto di vista dei prezzi, in media al di sotto del 5,5% rispetto al primo semestre 2019, quanto per i quantitativi esportati che risultano in aumento del 35%. La filiera italiana delle uve da tavola, sottolinea Ismea, è fortemente orientata all’export: basti pensare che di 1 milione di tonnellate prodotte nel 2019, il 45% è stato destinato ai mercati stranieri. In conseguenza di ciò, l’equilibrio economico del settore dipende fortemente dalla domanda estera. In termini di saldo della bilancia commerciale nazionale, tra le diverse specie di frutta, le uve da tavola, con circa 600 milioni di euro, sono al secondo posto precedute soltanto dalle mele che nel 2019 vantano un attivo di 713 milioni di euro. Guardando ai mercati di sbocco, i paesi dell’Unione europea hanno un peso enorme, assorbendo in media il 90% delle esportazioni complessive.

                       L’Italia è il primo produttore europeo di uva da tavola, ma il sesto Paese esportatore, con spedizioni per circa 635 milioni di euro, preceduta, tra gli altri, dagli USA e dal Perù. “Sul fronte della qualità, attualmente l’offerta italiana è ancora incentrata su varietà storiche come Vittoria, Palieri, Italia e Red Globe e presenta una disponibilità di nuove varietà di uve seedless (sebbene in progressivo aumento negli ultimi anni) ancora non adeguata alla domanda – prosegue Ismea -. Per questo motivo le esportazioni italiane sono sempre più minacciate dai Paesi produttori emergenti che sono in grado di guadagnare quote sui principali mercati di sbocco grazie a uve di elevata qualità, ben presentate e offerte ad un prezzo competitivo”.

                      Per quanto riguarda invece l’import, nel primo semestre 2020 i volumi di prodotto straniero presente sul mercato italiano sono sostanzialmente stabili rispetto agli anni precedenti e riguardano l’uva di contro stagione proveniente dall’emisfero australe (per lo più da Cile e Sudafrica) e le primizie che aprono la campagna del nostro emisfero, provenienti per lo più dall’Egitto. Il prezzo medio del prodotto importato ha registrato invece un sostanziale incremento su base annua, +8%.

                      Guardando infine agli ettari investiti, negli ultimi anni le statistiche relative alle superfici dedicate a uve da tavola nel nostro Paese si sono assestate intorno ai 46 mila ettari, concentrati in Puglia e Sicilia, che insieme coprono il 94% della produzione nazionale di uva da tavola. I dati relativi all’ultimo quinquennio evidenziano il tentativo di adeguare le varietà ai cambiamenti della domanda, attraverso l’eliminazione dei vecchi impianti di uve tradizionali e il reimpianto di nuovi vigneti a varietà apirene. Questi cambiamenti hanno anche leggermente modificato la ripartizione provinciale della produzione con una flessione degli investimenti nella provincia di Taranto; mentre in altri areali pugliesi si sono verificati degli incrementi. Nel complesso, tuttavia, tra il 2015 e il 2019 il saldo delle aree vitate in produzione è negativo, con una flessione di circa 200 ettari

                      Ismea quindi conclude il suo focus con una nota di “cauto ottimismo” per il prosieguo e la conclusione della campagna delle uve 2020. “Il buon profilo qualitativo – si legge nella nota -, favorito da una seconda parte della stagione estiva calda e asciutta, e la scarsa concorrenza del prodotto estero dovrebbero agevolare la collocazione del prodotto italiano sia sul mercato interno sia su quello dei principali clienti europei. L’auspicio degli operatori è che la flessione dei listini rilevata nella fase all’origine sia compensata da un cospicuo incremento dei volumi esitati”.

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