di Giulia Foschi
In francese si dice Chasselas, in emiliano Saslà. Questo vitigno bianco, originario del Libano e portato in Europa dai Fenici, si è diffuso nel territorio dei colli bolognesi a partire dai primi anni del XX secolo, e ha visto il periodo di massima espansione tra la fine degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta, quando questa coltivazione rappresentava una parte rilevante dell’economia dell’epoca, e l’uva Saslà era la più comune sulle tavole di Modena e di Bologna. Oggi, grazie alla determinazione di alcuni viticoltori del territorio, quest’uva gustosa, raffinata e bella a vedersi, con la sua buccia molto sottile, gli acini sferici, dorati e quasi trasparenti al momento della maturazione, sta tornando nelle fruttiere di molte famiglie.
A Castelletto di Serravalle, nel comune di Valsamoggia, a qualche decina di chilometri da Bologna, Anna Maria Manfredini ne coltiva mezzo ettaro, portando avanti una passione che le è stata trasmessa dal padre, che la commercializzava direttamente, come si legge sul sito di Cia Emilia Romagna. “C’è molta manualità nel coltivare questa varietà – spiega – perché la si raccoglie a più riprese, poi va ripulita in azienda dai chicchi deteriorati e dalle impurità”. “Inizialmente la portavo a un commerciante di Bologna – aggiunge – ma ora molti consumatori la vengono a cercare direttamente in azienda”.
Una delle caratteristiche della Saslà, oltre alla dolcezza e al buon sapore, è la serbevolezza: quest’uva, infatti, si conserva per una ventina di giorni mantenendo inalterate le sue caratteristiche. Viene commercializzata in confezioni da 5 chilogrammi e, trattandosi di una varietà da tavola, non rientra nell’obbligo della detenzione di diritti d’impianto.
Nei primi anni ‘30, solo a Castelletto di Serravalle si coltivavano circa 40 ettari di Saslà, ma il vitigno era diffuso anche nei comuni limitrofi di Bazzano, Monte San Pietro e Monteveglio. “Parte di questa uva raggiungeva i mercati del nord Italia, ma anche la Germania, grazie al trasporto per ferrovia con partenza da Vignola – ricorda Luigi Vezzalini, agronomo e presidente della associazione culturale Terre di Jacopino che si occupa della valorizzazione dei prodotti del territorio -. Ora in tutto questo areale, calcolando anche piccole porzioni, si fatica ad arrivare a 10 ettari complessivi”.
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