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                      Ortofrutta abbattuta dal coronavirus? Il punto con Mazzini di Coop Italia

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                      (copyright: 123rf)

                      Il Covid-19 sta impattando pesantemente sulle abitudini di acquisto e consumo degli italiani. Nelle settimane del lockdown l’ortofrutta in generale ha registrato una dinamica positiva in termini di volume, mentre sui prezzi i produttori si sono dovuti accontentare di una “pacca” sulle spalle. Dinamica positiva che è stata più accentuata per i prodotti a maggior valore salutistico percepito e per i prodotti da stock a più lunga conservabilità. Le settimane post lockdown non hanno modificato radicalmente questa dinamica, piuttosto accentuando il trend negativo di alcune categorie di prodotti. Il punto con Claudio Mazzini, responsabile commerciale settore freschissimi di Coop Italia

                      di Eugenio Felice (aggiornato al 26 agosto 2020)

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                      (copyright: 123rf)

                      L’incertezza economica da coronavirus, che dovrebbe sfociare in autunno nella peggior crisi globale dal secondo dopoguerra, ha iniziato a farsi sentire su tutto ciò che non è strettamente indispensabile. E, l’ortofrutta, non è ancora considerata tale dalla stragrande maggioranza degli italiani. Con un pacco da 500 grammi di pastasciutta mangiano 5 persone con prezzi a partire da 50 centesimi di euro (anche meno, quella a marchio Coop Italia viene venduta ad esempio a 38 centesimi il pacco da 500 grammi). Non c’è melone o nettarina che regga il confronto di prezzo. In più la pasta è mediamente sempre buona, un prodotto industriale standardizzato che dura in dispensa 24 mesi. L’ortofrutta dura poco e sarà un buon mangiare poi? Mah… Lo si scopre solo quando è ora di metterla in bocca: è la categoria di alimenti qualitativamente più inaffidabile in assoluto.

                      Come sta impattando allora la crisi innescata dal coronavirus sul settore ortofrutta? Lo abbiamo chiesto a Claudio Mazzini, responsabile commerciale settore freschissimi di Coop Italia, alla vigilia della settimana di Ferragosto. “C’è un problema serio che riguarda pomodori, angurie e meloni. Il problema diventa molto serio per la cosiddetta quarta gamma, dalle insalate lavate in busta ai prodotti più evoluti. Poi c’è un calo nei volumi per la frutta estiva a nocciolo, come albicocche, pesche e nettarine, a causa delle note avversità climatiche che hanno flaggelato la produzione in particolare in Emilia Romagna. In questo caso il prezzo significativamente più alto non può compensare il calo dei volumi arrivato al 90%”.

                      Tra le sorprese positive di questi mesi influenzati dal Covid-19 ci sono le mele. Ad esempio non abbiamo mai avuto consumi così alti nel mese di luglio, paragonabili a quelli di aprile, tanto che la varietà Golden potrebbe finire prima del nuovo raccolto 2020, cosa mai successa in tempi recenti. Bene, tutto considerato, anche alcuni ortaggi come zucchine, melanzane e centrioli. Su tutto ha influito la frequenza di acquisto nella grande distribuzione, che si è mantenuta bassa anche nei mesi dopo il lockdown. Le abitudini degli italiani sono parzialmente cambiate: si fa meno di frequente la spesa, si cucina di più a casa, si va meno al ristorante, si lavora di più in smartworking da casa. Di questo hanno beneficiato i prodotti a più lunga conservazione, comprese patate e cipolle”.

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                      Claudio Mazzini di Coop Italia (copyright: Fm)

                      “Se durante il lockdown – spiega Mazzini – è stata praticamente azzerata, la socialità è rimasta comunque bassa anche nei mesi successivi, complice l’eco delle notizie sulla situazione nel resto del mondo, tutt’altro che sotto controllo, così come i focali che anche in Italia continuano ad accendersi. La ridotta socialità e le temperature fresche di giugno e buona parte di luglio possono spiegare il forte calo nei consumi di meloni e soprattutto angurie. Sul cocomero, va detto che dopo Ferragosto i consumi sono ripartiti. Rimane di difficile spiegazione invece il calo nei consumi dei pomodori, su cui non hanno giovato i prezzi stracciati delle ultime settimane dovuti alle importazioni da Nord ed Est Europa. Sulla crisi del pomodoro incide una aumentata produzione: in primavera c’è stato un boom di vendite di piantine. Anche se questo non spiega come mai gli italiani stiano comprando meno pomodori nonostante i prezzi bassi. Produzione e distribuzione devono riflettere su come reagire a questa situazione”.

                      “La stessa cosa vale per la quarta gamma – conclude Mazzini – che sta vivendo una crisi di consumo senza precedenti, per quanto, va detto, nel mese di agosto abbia smesso di perdere a doppia cifra. Bisogna che la filiera si rimbocchi le maniche per trovare soluzioni per invertire il trend. È necessario che lavoriamo insieme, industria e distribuzione, per trovare soluzioni che siano in linea con le nuove modalità di acquisto e consumo degli italiani. Probabilmente negli ultimi anni l’attenzione è stata troppo orientata sulla riduzione del prezzo delle buste di insalata, a discapito di gusto e shelf life. Ora pare che il nodo sia venuto al pettine. Di questo ha colpa anche la grande distribuzione. E certamente ha influito la discountizzazione degli ultimi anni, sia nei prezzi che negli assortimenti. Lo vediamo anche nelle carni, che sta attraversando un momento favorevole: oggi la differenza la fa la shelf life. Non quella segnata nella confezione, ma quella reale, percepita dal consumatore”.

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