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                      Packaging, il “tubo” delle mele Rockit non piace al movimento Plastic Free

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                      Rockit, la mela snack in tubo di plastica (fonte: Facebook)

                      La plastica, una delle più grandi invenzioni del genere umano, è il materiale di imballaggio oggi più in discussione, il nemico numero uno per l’opinione pubblica mondiale. Che poi sia il più economico e il più efficace in termini di prestazioni tecniche, nonché riciclabile al 100%, poco importa. Il “tubo” delle mele Rockit, una varietà formato snack sviluppata in Nuova Zelanda e prodotta in Italia dalla Cooperativa Melavì della Valtellina, è stata oggetto recentemente delle attenzioni del movimento Plastic Free che conta in Italia 250 mila “simpatizzanti” su Facebook: il 10 dicembre la foto accompagnata dal testo “Imballaggi inutili da evitare!” nel giro di 5 giorni ha raccolto oltre 1.100 reazioni, 110 commenti e 140 condivisioni. Secondo lo stesso movimento tutta l’ortofrutta dovrebbe essere venduta solo sfusa. Il settore si interroga

                      di Eugenio Felice

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                      Rockit, la mela snack in tubo di plastica (fonte: Facebook)

                      La plastica è diventata da alcuni anni una dei materiali più odiati dalle persone. Le immagini delle isole di plastica negli oceani, delle balene spiaggiate con lo stomaco pieno di plastica, delle tartarughe impigliate nelle reti o con il cotton fioc infilato in una narice sono impresse nelle menti dell’opinione pubblica. La verità però è che la plastica è senza alcun dubbio una delle più grandi invenzioni del genere umano. Costa poco ed è estremamente efficiente. Basta pensare a questo periodo di emergenza sanitaria da coronavirus, come avremmo fatto e come faremmo senza plastica per le siringhe, per i blister delle medicine, per le mascherine, per le provette in cui si mette il bastoncino usato per il tampone, per i plexiglass alle casse dei supermercati, per le maschere facciali, per le tute protettive usate dal personale sanitario nei reparti Covid, etc. etc. Facciamo tutto in vetro, legno, cartone, cemento e metalli? A che prezzo?

                      Il problema non è la plastica in sé, che può essere riciclata – anche quella raccolta nei mari e nelle spiagge, vale la pena citare l’esempio di Social Plastic – e a fine vita può essere termovalorizzata per produrre energia. Il problema è la gestione del fine ciclo. Le persone dovrebbero preoccuparsi di fare la raccolta differenziata in modo corretto prima di accanirsi sui social e la pubblica amministrazione di gestire in modo virtuoso e responsabile i materiali che raccoglie dalle strade e dagli usci di casa, lottando contro la criminalità organizzata che si nasconde dietro al business dei rifiuti. Quelle persone che si lamentano della plastica sarebbero disposte a farne a meno? Si rendono conto che i beni di consumo che acquistano al supermercato con imballaggi senza plastica hanno un costo nettamente superiore? Comprate voi l’acqua minerale in Tetra Pak o bottiglie di vetro, vogliamo vedere quanto vi costa di più a fine anno?

                      Imballaggi inutili da evitare!

                      Pubblicato da Plastic Free su Giovedì 10 dicembre 2020

                       

                      C’è una grande ipocrisia dietro alle bioplastiche come il PLA: vi dicono di buttarlo nel bidone dell’umido, in realtà ci sono pochissimi siti in Europa in grado di trasformare industrialmente il PLA in compost. Quindi sarebbe meglio buttarlo nel secco indifferenziato. Mentre la plastica può essere riciclata. Un po’ come l’ipocrisia delle auto elettriche: non inquinano, certo, ma l’energia elettrica di cui si alimentano deriva per la maggior parte dalle centrali elettriche che lavorano ancora per la maggior parte bruciando combustibili fossili. In pratica bruciano petrolio, di cui la plastica è un derivato, per produrre elettricità. E non fanno meno danni nei mari, dato che periodicamente una petroliera affonda lasciando il suo carico di disperazione nei mari e nelle spiagge. Eppure la plastica è tassata con la “Plastic Tax” che presto entrerà in vigore, le auto elettriche sono ampiamente sovvenzionate e detassate dallo Stato. Quindi? Si, mah, boh.

                      Veniamo al caso specifico dei “tubi” delle mele Rockit prodotte dalla Cooperativa Melavì della Valtellina. Nel 2020 sono stati raccolti 10 mila quintali di questa varietà. Si tratta di un progetto giovane: la mela è stata sviluppata in Nuova Zelanda e Melavì ha acquisito i diritti per produrla in Italia. La sua caratteristica è che è una mela snack, di piccolo formato, peraltro molto buona. La trovate anche da Esselunga e Coop Italia. Come far capire che è una mela differente? Hanno pensato di metterla in un “tubo” che assomiglia a quello delle palline da tennis. È un monomateriale plastico, PET 100% riciclabile. Il “tubo” viene prodotto da un artigiano locale, a kilometro (quasi) zero. Sono in via di sperimentazione confezioni in cellulosa, ma questa è un’altra storia. Ebbene, il tubo è stato oggetto il 10 dicembre di un post su Facebook del movimento Plastic Free con il testo accompagnatorio “Imballaggi inutili da evitare!“.

                      Spesso, una semplice scelta può fare la differenza

                      Pubblicato da Plastic Free su Martedì 24 novembre 2020

                       

                      Si può parlare in questo caso di “over packaging”? Quindi di un imballaggio superfluo o comunque eccessivo? Al netto dell’emergenza sanitaria, che ha fatto lievitare l’ortofrutta confezionata perché permette un acquisto più veloce e sicuro, possiamo pensare che si possa vendere nel 2020 tutta l’ortofrutta sfusa come del resto già succede nei fruttivendoli? Detto che certi articoli come fragole e frutti di bosco non si possono che vendere confezionati data la loro estrema delicatezza, riteniamo che la risposta la possano dare solo i consumatori finali, purché abbiano la consapevolezza che il problema non è quel “tubo”, che anche dopo l’utilizzo può diventare una risorsa e non un rifiuto, bensì la gestione del fine vita su cui lo stesso consumatore finale ha un ruolo fondamentale. Prima di interrogarci sul “tubo”, dovremmo forse interrogarci su tutto il materiale di imballaggio multimateriale non riciclabile che ancora compriamo e finisce nel secco.

                      E la pubblica amministrazione, a tutti i livelli, invece di cercare di fare cassa con la Plastic Tax, dovrebbe impegnarsi per realizzare con la plastica un circuito virtuoso ed elevare così a un livello superiore il concetto di sostenibilità ambientale. Riportiamo a questo proposito il commento di un profondo conoscitore del settore: “Ancora oggi il vero grande obiettivo non raggiunto è la capacità di selezionare e separare tutti gli imballaggi in PET (non solo le bottiglie). Se uniremo i processi industriali di selezione con i processi industriali di riciclo, con l’industria della trasformazione delle materie provenienti da riciclo, allora avremo chiuso il ciclo virtuoso del recupero. Questo traguardo ambizioso non è lontano, va coordinato e agevolato dalle istituzioni, non tassato. Altrimenti sarà solo l’ennesimo escamotage per “fare cassetta” e non certo per conquistare un nuovo livello di sostenibilità globale“.

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