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                      Paolo Pari (Almaverde Bio): “Ecco perché abbiamo puntato al biodinamico”

                      Alla luce del polverone sollevato con l’approvazione in Senato del ddl 988 “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” nel quale si equipara il biologico al biodinamico, il direttore Almaverde Bio Paolo Pari spiega le ragioni che hanno portato la società Canova, specializzata nel biologico, a lanciare il biodinamico certificato Verdèa. In quanto il biodinamico è di fatto una segmentazione della produzione biologica

                      Dalla Redazione

                      biodinamico

                      Paolo Pari, direttore di Almaverde Bio

                      Canova ha lanciato il biodinamico certificato Verdèa. Una scelta pionieristica in ortofrutta; al di là delle polemiche cosa significa produrre biodinamico?

                      “Forse non tutti sanno che sono un agronomo – afferma Paolo Pari, direttore di Almaverde Bio -, laureato con 110 e lode all’Università di Bologna tanti anni fa e che ho iniziato la mia attività nel settore frutticolo come tecnico di lotta biologica. Il biologico è nel mio DNA come metodo di difesa delle piante dalle malattie ma anche come schema di produzione certificata che tenga conto a 360 gradi di tutti gli aspetti che concorrono ad ottenere un raccolto o un allevamento o un trasformato (vino, olio, pomodoro ). Il biologico possiede una visione agronomica non produttivistica o meglio produttivistica sì ma nel rispetto di ritmi e regole dettate da un equilibrio naturale da salvaguardare il più possibile.

                      Il biodinamico è una segmentazione della produzione biologica che mette al centro dell’attività una visione olistica della produzione in cui il terreno e la sua fertilità sono il cuore della produzione.

                      “Il terreno e la sua fertilità rappresentano una sorta di microbiota (oggi tanto descritto nella medicina umana) e il microbiota agricolo deve essere in uno stato perfetto di fertilità, ricchezza di microelementi, presenza di microorganismi utili alla salute delle piante che vi trovano dimora. Steiner, l’ispiratore della biodinamica, diceva che l’azienda agricola dovrebbe tendere verso una produzione autosufficiente; l’ideale sarebbe appunto tendere verso quella circolarità nella produzione che prevede la presenza di fonti di sostanza organica diretta, le rotazioni con colture ricche di minerali azotati e tanto altro. Non è ovviamente possibile in frutticoltura ritornare all’azienda autosufficiente dei primi del 900 ma trovo molto attuale – sottolinea Pari -, oggi che parliamo sempre di sostenibilità ed economia circolare, riprendere questi principi di circolarità e attualizzarli con competenza scientifica”.

                      I detrattori del biodinamico e del biologico dicono che con questi metodi perderemo la sovranità alimentare. Cosa ne pensa?

                      “Con il cibo non si scherza – prosegue il direttore – né si può considerare come un semplice prodotto industriale. Il cibo ha un tale legame con l’ambiente, la natura e l’uomo che va trattato con doveroso rigore. Il biologico e il biodinamico possiedono questo rigore, si dice infatti produrre meno ma produrre meglio perché indubbiamente la quantità prodotta con questi metodi è inferiore a quella convenzionale, per ora. Dico per ora perché nella produzione convenzionale di frutta, per esempio, stiamo assistendo ad una progressiva difficoltà a realizzare le rese produttive attese. È evidente che la produzione non è direttamente proporzionale ai mezzi tecnici immessi. Ad un certo punto l’ambiente crea un freno. Il terreno perde di fertilità, ci sono attacchi sempre più pesanti di patogeni che riducono la produzione, ci sono i cambiamenti climatici e qui la ricerca scientifica deve dare risposte e trovare adeguate soluzioni.

                      Ma si percepisce la differenza tra prodotto biodinamico e no?

                      Mi piace parlare di biodinamico guardandolo dalla parte dei prodotti e delle piante che li producono. Avete mai mangiato un’albicocca biodinamica? Provate. Avete mai visto un frutteto biodinamico? È un’esperienza molto interessante. Prendo ad esempio un impianto di pere biodinamico che coltiva il presidente di Canova. Le piante sono molto vigorose, vegetano molto bene, i frutti sono molto dolci, aromatici. Non ci sono attacchi di patogeni se non nei limiti controllabili con le tecniche del biologico. Il terreno biodinamico rende le piante più resistenti alle malattie, più in salute, più vigorose e il vigore delle piante, checché se ne dica è importante per ottenere un ottimo raccolto. Intendo ottimo dal punto di vista qualitativo e poi quantitativo.

                      Il biodinamico viene definito dalla senatrice Cattaneo come una pratica esoterica, priva di qualsiasi realistica connessione con la scienza, cosa ne pensa?

                      “Ha fatto bene il direttore generale di Apofruit Ernesto Fornari ad invitare la Senatrice Cattaneo a visitare una delle nostre aziende biodinamiche. Parlare di esoterismo per il biodinamico e di pratiche prive di qualsiasi evidenza scientifica è riduttivo e non tiene conto dei dati di fatto. Lo standard di produzione biodinamica Verdea, se applicato bene, produce in ogni azienda sostanzialmente gli stessi risultati e quindi non è un fatto casuale (leggi qui). Le pratiche esoteriche di cui parla la Senatrice Cattaneo non sono previste ne tantomeno menzionate nei disciplinari biodinamici. Nelle aziende biodinamiche si usano, come da disciplinare i preparati biodinamici che non sono altro che una sorta di attivatori della vitalità del terreno. E vengono preparati, appunto, con procedimenti ben definiti. Le fasi lunari che tanto fanno indignare i detrattori della biodinamica – conclude Pari – sono una attenzione ai ritmi della terra e dell’influsso innegabile del ritmo planetario sulla vita e quindi anche sulla produzione. Io vorrei che la scienza, senza pregiudizio analizzasse questi processi e offrisse risposte alla produzione ortofrutticola italiana che deve puntare alla differenziazione, alla qualità, alla sostenibilità e alla salute”.

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