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                      Residuo zero vs biologico? Zero Residui Odv: “Banalizzare non fa bene a nessuno”

                      “Come può il residuo zero togliere spazi all’agricoltura biologica, di cui abbiamo, peraltro, massimo rispetto?”. È l’interrogativo sollevato da Carmelo Sigliuzzo, presidente del CTS dell’Associazione Zero Residui Odv, in replica all’articolo in cui riprendiamo i dubbi sollevati dal Ctcu di Bolzano circa la sostenibilità di un metodo produttivo a ridotto impiego della chimica in confronto al biologico, in cui la chimica proprio non esiste. Concorrenza sleale al bio? Greenwashing? Il residuo zero – metodo certificato da disciplinari tecnici condivisi a livello europeo, anche dalle maggiori catene della Gdo – è tutt’altro che questo. E le banalizzazioni, puntualizza l’associazione, non fanno bene a nessuno…

                      Dalla Redazione

                      residuo zero

                      Si è acceso il dibattito sul residuo zero e sulla sua sostenibilità messa in relazione a quella dell’universo del biologico: se alcuni operatori specializzati vedono questa nuova etichettatura dei prodotti ortofrutticoli come concorrenza sleale al bio, c’è chi parla perfino di “greenwashing” (leggi qui). Ma l’Associazione Zero Residui Odv (organizzazione del terzo settore riconosciuta) non ci sta a queste “banalizzazioni” e replica all’articolo in cui abbiamo ripreso le osservazioni e gli interrogativi sollevati dal Centro Tutela Consumatori Utenti (Ctcu) di Bolzano, fra i detrattori del residuo zero.

                      Il prodotto a “Residuo zero”, per come è concepito e oggi anche certificato – da enti terzi indipendenti, riconosciuti – è molto più del semplice “prodotto con residui di prodotti chimici di sintesi al di sotto del limite di quantificazione analitica (0,01 mg/kg)”, come lo definisce il Centro Tutela Consumatori Utenti. “Residuo zero – puntualizza Carmelo Sigliuzzo, presidente del Comitato Tecnico Scientifico di Zero Residui OdV – è figlio di anni (ormai più di 30) di applicazione del metodo della produzione integrata, che faticosamente agricoltori e tecnici applicano nelle aziende agricole italiane con grandi sforzi e grandi progressi. Supportati, val la pena ricordarlo, dal sistema italiano delle regioni che hanno messo a punto, tra le prime in Europa, disciplinari tecnici di produzione condivisi e sostenibili. Condivisi anche dalle maggiori catene distributive italiane ed europee”.

                      L’associazione quindi prosegue spigando che gli agricoltori più virtuosi hanno imparato, col tempo, a utilizzare correttamente le molecole chimiche di sintesi e hanno gradualmente introdotto nuovi mezzi e metodi a minor impatto sull’ambiente, sull’uomo e sulla salute del consumatore. I sistemi di supporto alle decisioni (DSS), l’agricoltura di precisione, l’agricoltura cosiddetta 4.0, i biostimolanti, l’uso di sostanze e metodi di difesa non chimici, permettono oggi la riduzione d’impiego della chimica di sintesi in linea con le politiche di riduzione dell’uso degli agrofarmaci introdotte dalla UE con la strategia Farm to Fork.

                      “Banalizzare il prodotto a residuo zero non fa bene a nessuno, né agli agricoltori né, tanto meno, ai consumatori – chiosa Sigliuzzo -. È l’intero sistema di produzione che ci perde. In termini economici, di immagine e di sostenibilità! L’agricoltura biologica, da parte sua, è un metodo di produzione che ha avuto un’identità propria sin dal 1991, con Il Regolamento UE 2092/91, a cui sono seguiti altri provvedimenti legislativi in evoluzione con i tempi e con i mercati. E oggi è regolamentato, certificato, riconosciuto e apprezzato da una parte dei consumatori. Come può il residuo zero togliere spazi all’agricoltura biologica, di cui abbiamo, peraltro, massimo rispetto?”.

                      Secondo il presidente del CTS di Zero Residui, dunque, non è comprensibile la polemica sollevata di recente in merito al residuo zero. “La sostenibilità dei metodi di produzione agricola non può essere appannaggio di una categoria o di un metodo agricolo”, aggiunge.

                      Il residuo zero, ribadisce l’associazione, rappresenta oggi un metodo sostenibile di produzione agricola in continua evoluzione che limita il ricorso alla chimica (non la esclude, questo sia chiaro) e raggiunge, come risultato finale, l’assenza di residui quantificabili (come detto, sotto i limiti di quantificazione analitica, stabiliti in 0,01 mg/kg). Questo deve essere comunicato in maniera chiara e trasparente ai consumatori.

                      “Abbiamo costituito l’Associazione Zero Residui – conclude il presidente del CTS – per offrire un campo di discussione neutro e aperto a tutti coloro vogliano aiutare la crescita e l’evoluzione sostenibile dell’agricoltura italiana, senza preconcetti e interessi di parte. E siamo pronti a un confronto serio e continuo per favorire la transizione verso modelli produttivi sempre più sostenibili. In particolare la nostra associazione sta cercando di aggregare tutti i portatori di interesse, da un lato lavorando alla realizzazione di linee guida condivise (con il coordinamento del Comitato Tecnico Scientifico che mi onoro di presiedere), dall’altro cercando di comunicare nella maniera più trasparente e chiara possibile i contenuti e il valore della filiere a Zero Residui, mediante un confronto continuo e animato. Con il fine ultimo di favorire lo sviluppo armonico di modelli agricoli sostenibili per i consumatori, i produttori e per il futuro dei nostri figli”.

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