L’INFORMAZIONE INDIPENDENTE PER PROFESSIONISTI E APPASSIONATI DI ORTOFRUTTA
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                      Supermercati e fornitori di ortofrutta. Un rapporto difficile (parte seconda)

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                      Confezione di pomodori a fine corsa (copyright: Fm)

                      Come migliorare i rapporti di filiera che portano l’ortofrutta sulle tavole degli italiani? Ce ne siamo occupati più volte e riteniamo che sia compito di una testata giornalistica di settore come Fruitbook Magazine stimolare un confronto costruttivo tra i diversi attori della filiera per migliorare lo status quo. La lettera che abbiamo pubblicato a fine gennaio – “I supermercati ci stanno ammazzando” – ha motivato un professionista del settore, con esperienza sia lato fornitore che lato grande distribuzione, a inviarci alcune sue considerazioni, mettendo subito in chiaro come “la questione sia molto complessa, ma se nessuno è disposto ad affrontarla in maniera più aperta, nulla cambierà mai”. Pubblichiamo la seconda parte di quanto ci ha inviato. A questo link potete leggere la prima parte

                      Dalla Redazione

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                      Confezione di pomodori a fine corsa venduti in un supermercato (copyright: Fm)

                      Buongiorno Direttore, ho letto il vostro articolo “I supermercati ci stanno ammazzando” e mi piacerebbe esporle il ragionamento che ne è conseguito. Premetto che la questione è molto complessa, per questo preferisco procedere per punti di criticità.

                      SEGUE DA PARTE PRIMA.

                      LA POLITICA DEI PREZZI. Una tipica discussione da telegiornale è quella dei prezzi della frutta e verdura. Non c’è stagione nella quale manchi il servizio girato al mercato scoperto di turno con i prezzi mirabolanti e i supermercati escono da questi servizi come i salvatori del popolo. Bisogna guardare la cosa da una prospettiva differente: un negozio al dettaglio, un fruttivendolo per intenderci, ha un ricarico medio del doppio sulla merce comprata (ovvio che la quarta gamma faccia storia a sé). Un ambulante serio, non quelli da 0,50€/kg, che ha un buon potere d’acquisto in mercato, ricarica mediamente il 60%.

                      E il supermercato quanto ricarica gli acquisti? Il ricarico varia da catena a catena e dipende dai costi e dall’efficienza della struttura distributiva. Il ricarico di Aldi Italia è senz’altro meno consistente (+25/30%) rispetto a quello che applica Coop Italia (anche +50%). Rispetto al canale tradizionale, quello che cambia radicalmente è il prezzo del prodotto di partenza, quello che viene pagato al produttore. Inoltre il supermercato si può permettere delle perdite su alcuni articoli in alcuni periodi dell’anno che un fruttivendolo o un ambulante non potrà mai permettersi, vedi le offerte a 1 centesimo di angurie a Ferragosto o di ananas la vigilia di Natale.

                      Produrre costa; produrre bene costa di più soprattutto perché ci vuole una grande capacità e professionalità tanto nella produzione pura, quanto nella lavorazione post-raccolta. Ma tutti questi aspetti non sono in cima alla lista per (temo) nessun gruppo distributivo; l’importante è che il prodotto abbia un’ottima shelf life e che possa sopportare la non professionalità assoluta (brutto ma vero) di chi lavora nel reparto ortofrutta dei supermercati. Non c’è cultura e nemmeno una formazione seria; i prodotti vengono trattati davvero malamente e quindi è necessario comprare prodotti in grado di essere malmenati senza troppe perdite.

                      LA ZONA GRIGIA. Ci sono alcuni aspetti che gravano sui produttori e che lasciano perplessi per la passività con cui accettano qualsiasi cosa. C’è sempre la ricerca a migliorare le vendite, quindi il marketing dei supermercati lavora sui nuovi imballaggi, sulle nuove grafiche, ecc. Come funziona? Funziona che una volta trovata la nuova grafica, per esempio delle reti di arance, ogni fornitore in quota sulle arance si vede addebitare l’importo che l’agenzia di marketing chiede per il lavoro fatto. Tutto questo senza che al fornitore venga detto prima nulla, né se ha voglia di pagare o meno 5.000 euro (per fare un esempio), né se magari lo stesso aveva già comprato le reti della stagione precedente (o ne aveva ancora in stock).

                      C’è poi il fenomeno ampiamente diffuso nei gruppi della grande distribuzione delle casse a rendere e riutilizzabili, le cui aziende, spesso multinazionali, pagano non poco perché la catena “suggerisca” ai fornitori di usarle; tra l’altro il fornitore che usa le casse previste ha spesso una tolleranza diversa dal controllo qualità in piattaforma. C’è il discorso dei bonus al raggiungimento di determinati fatturati, ma anche questi sono aleatori; viene preso per buono che ci si arriverà prima o poi e quindi amen.

                      IL CLIENTE FINALE. Perché sì, anche i clienti sono parte attiva di questa catena. L’utente finale vuole essere a km zero (sulla carta), vuole seguire le stagionalità (come vede in tv o sui social), vuole essere etico e responsabile e vuole spendere il giusto. Però vuole anche spendere il meno possibile, vuole che tutti i prodotti siano disponibili 12 mesi all’anno perché vuole essere libero di scegliere il come, il cosa ed il quando. Vuole il prodotto bio che viene via aerea dal Perù.

                      APPENDICE: IL CONTROLLO QUALITÀ. Nella mia esperienza diretta questo dipartimento è la falange armata dell’ignoranza. Applicare le schede tecniche, che vorrei tutti potessero leggere, come se si controllassero dei bulloni usciti dal tornio è agghiacciante. Come si fa a dichiarare un 7% di frutto “marcescente” su 4 pallet? E perché se il produttore accetta di dimezzare il prezzo allora va bene? O era marcescente, oppure andava bene.

                      In più il buyer può “stuzzicare” il controllo qualità e facilitare i resi quando si è ordinato troppo e c’è troppo stock; basta fargli notare tre frutti brutti e dubitare della loro attenzione. Forse solo Esselunga è in grado di applicare una certa elasticità in periodi di particolare difficoltà meteo. C’è una scuola di pensiero secondo la quale è il controllo qualità che sa come la frutta e verdura devono essere. Si vede che hanno trovato la terza tavola sul Sinai, ed era quella dell’ortofrutta.

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                      E quindi di chi è la colpa? È colpa dei supermercati? È colpa dei produttori? È colpa dei consumatori? Temo più semplicemente che sia la natura dell’uomo il vero cardine. Il desiderio di volere è quello che forse più di tutti ci ha resi diversi da ogni altra specie animale, ma trovare l’equilibrio fra quanto sia giusto chiedere in funzione di quanto si desideri è affare complicato. Tanto più che la bilancia della quale si cerca di comandare l’ago si chiama natura; dovremmo (dobbiamo) imparare ad accettare e rispettare il prossimo e anche la natura rientra nel “prossimo”. È quanto di più prossimo alla nostra vita ci sia.

                      Mi piacerebbe tanto che fosse realizzabile un serio confronto fra le parti che possa portare davvero al rispetto reciproco di tutte le parti in causa; porterebbe a un benessere necessario soprattutto vista questa crisi dovuta alla pandemia. Però, se considero validi i ragionamenti riportati qui sopra, la strada è davvero difficile da percorrere.

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