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                      Coldiretti: dai fichi ai litchi, l’86% dei prodotti esteri è a rischio per la salute

                      Al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione organizzato dalla Coldiretti si è parlato della food safety dell’agroalimentare di importazione: dai fichi e i pistacchi turchi al litchi cinese, 8 prodotti esteri su 10 risultano pericolosi per la presenza di sostanze tossiche o vietate. Secondo l’EFSA solo lo 0,6% di prodotti agroalimentari nazionali presenta residui chimici oltre i limiti di legge, contro il 6,4% dei prodotti di importazione. Nonostante ciò, l’ortofrutta italiana – dal kiwi agli agrumi, dal pomodoro ciliegino ai carciofi – ha le porte sbarrate all’estero, con barriere sanitarie e burocratiche “erette spesso strumentalmente nei confronti dei prodotti italiani”

                      Dalla Redazione 

                      Dai fichi turchi ai pistacchi iraniani contaminati dalle aflatossine, dalle spezie indiane ai litchi cinesi con livelli di pesticidi oltre il limite, è questa la black list dei cibi più pericolosi che rischiano di finire nel carrello degli italiani alla ricerca del risparmio a tavola. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base delle elaborazioni del sistema di allerta Rapido (Rassf), diffusa in occasione dell’apertura del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, organizzato dalla Coldiretti con la collaborazione dello studio The European House – Ambrosetti a Villa Miani a Roma.

                      “In Italia – sottolinea la Coldiretti – oltre otto prodotti su dieci pericolosi per la sicurezza alimentare provengono dall’estero (86%). Sul totale dei 317 allarmi rilevati nel 2022, 106 scaturivano da importazioni da altri Stati dell’Unione Europea (33%) e 167 da Paesi extracomunitari (53%) e solo 44 (14%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale”.

                      I pericoli maggiori per la salute dei consumatori italiani, secondo l’analisi, sono venuti dai fichi secchi della Turchia per le aflatossine, seguito dal pesce spagnolo, per l’alto contenuto di mercurio, dalla carne di pollo polacca contaminata da salmonella e poi da cozze e vongole spagnole sempre con salmonella insieme al batterio dell’escherichia coli. Molto pericolosi anche i pistacchi da Turchia, Iran e anche Stati Uniti per l’elevato contenuto di aflatossine cancerogene, nonché le erbe e le spezie dall’India e i litchi dalla Cina per la presenza di pesticidi oltre i limiti consentiti, ma non mancano neppure le ostriche francesi al norovirus che provoca violente gastroenteriti.

                      I cibi e le bevande stranieri sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy, con il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge che in Italia è stato pari al 6,4% nei prodotti di importazione, rispetto alla media dello 0,6% dei campioni di origine nazionale, secondo i dati dell’ultimo Rapporto pubblicato da Efsa nel 2023 relativo ai dati nazionali dei residui di pesticidi.

                      In caso di allarme alimentare le maggiori preoccupazioni sono proprio determinate dalla difficoltà di rintracciare rapidamente i prodotti a rischio per toglierli dal commercio generando un calo di fiducia che provoca il taglio generalizzato dei consumi e che spesso ha messo in difficoltà ingiustamente interi comparti economici, con la perdita di posti di lavoro. “Per questo occorre anche avanzare nel percorso per la trasparenza sull’obbligo di indicare la provenienza degli alimenti in etichetta che grazie alle battaglie della Coldiretti ha raggiunto ormai i 4/5 della spesa – sottolinea la Coldiretti -. Grazie alla battaglia dell’associazione arriva l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine anche per la frutta e verdura in busta, noci, mandorle, nocciole ed altri frutti sgusciati, agrumi secchi, fichi secchi e uva secca, funghi non coltivati e zafferano”. Un risultato ottenuto con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue del regolamento delegato 2023/2429 che avrà piena attuazione a partire dal 1° gennaio 2025.

                      E intanto l’ortofrutta made in Italy ha le porte sbarrate all’estero

                      Durante il Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione organizzato da Coldiretti, oltre che degli allarmi alimentari riscontrati sui prodotti importati, si è parlato anche di come paradossalmente l’eccellenza dell’agroalimentare made in Italy abbia i porti chiusi all’estero, con le barriere sanitarie e burocratiche “erette spesso strumentalmente nei confronti dei prodotti italiani”. È il caso ad esempio del pomodoro ciliegino bloccato alle frontiere, con il Canada che ha invece più che quadruplicano le esportazioni in Italia di grano trattato con glifosato, secondo modalità vietate a livello nazionale.

                      Vita dura anche per i kiwi, con l’Italia che è il secondo produttore mondiale ma non può esportarli in Giappone e Thailandia, le mele tricolori sono rifiutate dal Cile, il Perù, il Messico e la Cina. Con Pechino si è appena conclusa positivamente la trattativa per le pere, sulle quali si discute anche con la Thailandia. “Il paradosso – chiosa Coldiretti – è che proprio la Cina frappone ostacoli per motivi fitosanitari e chiede assicurazioni sulla assenza di patogeni della frutta (insetti o malattie) non presenti sul proprio territorio con estenuanti negoziati e dossier che durano anni e che affrontano un prodotto alla volta, ma può esportare in Italia i propri prodotti assieme ai quali sono arrivati anche pericolosi insetti alieni dannosi come la cimice asiatica (Halyomorpha halys) che, distruggendo i raccolti nei frutteti e negli orti.

                      Un’anomalia che si registra anche nel caso degli agrumi. “Il Sudafrica – denuncia Coldiretti – esporta da noi arance contaminate dalla “macchia nera” (black-spot), una malattia altamente contagiosa che provoca una diminuzione della qualità e della quantità dei frutti che non possono più essere venduti sul mercato fresco. I sudafricani, peraltro, impediscono anche le importazioni di uva italiana da tavola, così come la Thailandia. Frontiere off limits per gli agrumi tricolori anche in Cina (tranne arance) e Corea del Sud”.

                      Ma i prodotti italiani trovano difficoltà anche nelle Americhe. Gli Stati Uniti vietano l’ingresso dei carciofi freschi ma anche del finger lime, una varietà di limone che si coltiva in Sicilia per effetto della tropicalizzazione del clima. Il Messico, invece, impedisce l’arrivo delle fragole e delle barbatelle per la vite e sempre nel nuovo continente in Brasile non sono autorizzate le susine provenienti dall’Italia nonostante l’Unione Europea abbia siglato l’accordo di libero scambio con tutta l’area Mercosur di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.

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