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                      StraBerry, il titolare bocconiano d’Alcontres: “Animali. Ci vuole metodo tribale”

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                      Guglielmo Stagno d'Alcontres, fondatore di StraBerry

                      In una conversazione ascoltata dalla Guardia di Finanza, il fondatore bocconiano di StraBerry, Guglielmo Stagno d’Alcontres, dichiarava: “Io sono maschio dominante, con i braccianti ci vuole il metodo tribale”. E ancora: “Sono più orgoglioso di avere inventato StraBerry che avere questi metodi coercitivi, chiamiamoli così, nei loro confronti. Ma sono i metodi con i quali bisogna lavorare, ci vuole un clima di terrore”. Non ci troviamo nelle campagne pugliesi ma alle porte di Milano, a Cascina Pirola, nel comune di Cassina de’ Pecchi, dove l’azienda pluripremiata anche da Coldiretti coltiva fragole e piccoli frutti per venderle direttamente nelle strade di Milano con apecar e cargo bike. Il testimone: “Usavano parole come coglione, negro di merda, animali”. Ora nell’azienda, sequestrata dalla Guardia di Finanza il 10 agosto, sembra essere tornato un clima favorevole, sotto la guida di un amministratore giudiziario

                      di Eugenio Felice

                      StraBerry-Guglielmo-Stagno-d-Alcontres

                      Guglielmo Stagno d’Alcontres, fondatore e ceo di StraBerry

                      Il caso StraBerry ha del clamoroso. È il simbolo di un settore agricolo che cerca di presentarsi con la faccia pulita del bravo ragazzo di campagna ma che in realtà nasconde più di uno scheletro nell’armadio. Un settore incapace di espellere le proprie mele marce. Un settore che, a partire dalle sue rappresentanze nazionali, è sempre pronto ad additare i colpevoli delle sue malefatte: la concorrenza straniera, la normativa penalizzante, la politica inconcludente, la burocrazia eccessiva, il cambiamento climatico, la grande distribuzione. Questa sì, negli ultimi anni è diventata il nemico pubblico numero uno per il mondo agricolo, l’origine di tutti i mali, il gigante che strangola i piccoli. Come mai il caso StraBerry ha del clamoroso? Riassumendo, in ordine sparso: il modello commerciale consiste nella vendita diretta nelle strade di Milano (leggasi kilometro zero) con apecar e cargo bike (piccoli volumi venduti in GDO, in particolare Coop Italia ed Esselunga); è stata premiata per la formula innovativa e la sostenibilità ambientale da Coldiretti con l’Oscar Green nel 2013 e nel 2014 (alla faccia…); l’azienda Cascina Pirola non si trova in Puglia o in altre regioni “disagiate” del Meridione ma a 15 kilometri dal Duomo di Milano, a Cassina de’ Pecchi (quindi il caporalato è ormai endemico in Italia?); il fondatore e amministratore è Guglielmo Stagno d’Alcontres, un nobile di origini siciliane, laureato alla Bocconi, nonché consigliere regionale Coldiretti.

                      Il metodo tribale. Dalle carte dell’inchiesta emergono nuovi dettagli sul “clima di terrore” che vigeva nei campi a Cassina de’ Pecchi. “Questo deve essere l’atteggiamento, perché con loro devi lavorare in maniera tribale, come lavorano loro, tu devi fare il maschio dominante, è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante…è così…io sono il maschio dominante!”, dice al telefono d’Alcontres, senza sapere di essere ascoltato dalla Guardia di Finanza. Secondo quanto emerso dalle indagini, i braccianti immigrati venivano pagati 4,5 euro all’ora per nove ore al giorno, anche se sulla carta i turni erano più brevi. E non mancavano insulti a sfondo razzista. Negli atti che hanno portato al sequestro, sono riportate le testimonianze di alcuni lavoratori. “Non c’era nessun tipo di rispetto nei miei confronti e nei confronti dei miei colleghi”, spiega uno agli inquirenti. In azienda “erano molto offensivi, sempre, usavano parole come coglione, negro di merda, animali. Spesso non riuscivo a capire tutto quello che dicevano”. Dalle carte emerge poi il clima che si respirava in azienda. In una conversazione ascoltata dalle fiamme gialle è sempre D’Alcontres a spiegare: “Stamattina appena ho visto uno che parlava, dopo un secondo l’ho mandato a casa, non è che gli ho dato la seconda possibilità…”Vai a casa!” e appena vedo uno con il cellulare io lo mando a casa! È il terrore di rispettare le regole!”.

                      La seconda vita di StraBerry? L’azienda di Guglielmo Stagno d’Alcontres a Cassina de’ Pecchi, sequestrata lo scorso 10 agosto, oggi va avanti con un amministratore giudiziario. Sono arrivati bagni chimici, docce, spogliatoi, una paga adeguata ai contratti nazionali. E poi ancora la possibilità di fare pausa, di bere l’acqua durante il turno, di avere delle mascherine e di parlarsi senza temere di perdere il posto di lavoro. La vita dei braccianti nei campi di fragole a Cassina de’ Pecchi, a quanto è dato sapere, è cambiata totalmente, in meno di un mese, grazie a un amministratore giudiziario che proprio qualche giorno fa, parlando con i sindacalisti della Flai Cgil, si è commosso: “I braccianti lo hanno ringraziato, quasi non ci credono che qualcuno possa trattarli in modo umano – racconta Paola Tommasetti, della Cgil – sembra una cosa straordinaria, ma questa è solo quella che dovrebbe essere la normalità”. Un’azienda rimessa in piedi, dove si sta cercando di costruire una rete fognaria (che non c’era) e rimettere in regola un po’ tutto. Che però vede nel suo futuro alcuni rischi. Il primo riguarda, come riporta Repubblica, gli ordini della grande distribuzione, da Coop a Esselunga: all’indomani dell’ordinanza del gip Roberto Crepaldi e dalla pubblicazione delle intercettazioni in cui D’Alcontres parlava dei suoi braccianti come di “animali”, i big della GDO hanno congelato tutte le richieste di forniture che erano state fatte all’azienda agricola.

                      Questioni irrisolte. Il settore ortofrutticolo rimane il far west della distribuzione alimentare. Falso biologico, falsa provenienza, caporalato e sfruttamento della manodopera, corruzione, infiltrazioni mafiose, pesticidi non ammessi, OP costruite ad arte solo per beneficiare dei contributi comunitari: sono costanti e periodici gli scandali portati all’opinione pubblica, spesso conditi da mala informazione. In realtà le imprese sane e virtuose sono tante, ma spesso, per non dire sempre, si trovano a doversi confrontare con operatori senza scrupoli che non agiscono nella legalità e per questo riescono a offrire un rapporto qualità prezzo apparentemente migliore. Si chiama concorrenza sleale. Chi dovrebbe vigilare? Lo Stato, ma fa troppo poco, da decenni si disinteressa del settore agricolo italiano. La GDO, ma sono pochi i gruppi veramente attenti (ricordiamo come esempio virtuoso la campagna Buoni & Giusti di Coop Italia). Il consumatore chiede più etica, trasparenza e sostenibilità in quello che compra (leggi l’indagine Doxa)? Ecco allora la maggior parte delle organizzazioni di produzione e della distribuzione a vantare falsi meriti di facciata, a partire dagli ormai tanto di moda bilanci sociali o di sostenibilità. Una sorta di greenwashing in salsa etica. Ma dietro alle parole, ci vorrebbero i fatti. Con la presa di coscienza che tirare il prezzo di fornitura, andando magari sotto i “normali” costi di produzione, non può che alimentare una filiera malsana.

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