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                      Coronavirus, Rivoira: “Ortofrutta 100% confezionata? Scenario impraticabile”

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                      Frutta confezionata in un supermercato del nord Italia (copyright: Fm)

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                      Frutta confezionata in un supermercato del nord Italia il 28 marzo 2020 (copyright: Fm)

                      di Eugenio Felice

                      Mentre in Italia non siamo ancora arrivati al picco della emergenza sanitaria da coronavirus, con il papa che il 27 marzo pronunciava in mondovisione in una San Pietro grigia e deserta l’indulgenza plenaria – “Ti imploriamo Dio, non lasciarci nella tempesta. Perché avete paura? Non avete ancora fede?” – la grande distribuzione nazionale ed estera, un settore che sta crescendo mediamente nelle ultime settimane di oltre il 20% in termini di fatturato nonostante le difficoltà legate al personale, sembra orientarsi in modo sempre più deciso verso l’ortofrutta confezionata. Due sono le motivazioni. La prima è agevolare il cliente a liberare il prima possibile il supermercato, date le misure stringenti per evitare l’assembramento all’interno del punto vendita e garantire il distanziamento sociale. La seconda, meno rilevante rispetto alla prima, è più psicologica: la confezione consente meno manipolazione e darebbe la parvenza di una “protezione” alla frutta e agli ortaggi, dato che nella mente del consumatore finale potrebbero essere veicolo di trasmissione. Anche se in realtà la buona prassi, raccomandata anche dall’OMS, è di lavare bene frutta e ortaggi, magari anche con bicarbonato (regola di buon senso da applicare sempre, dicono gli esperti), prima del consumo e questo è più che sufficiente per avere la massima garanzia di igiene.

                      Insomma, fino a ieri i distributori e i consumatori chiedevano certificazioni di ogni tipo e imballaggi plastic free e a basso impatto ambientale, magari avvolti in foglie di banane. Oggi l’emergenza sanitaria da coronavirus ha completamente cambiato la prospettiva e la classifica delle priorità. Stiamo andando verso un over packaging di plastica e cartoncino. Ma la filiera ortofrutticola è pronta a dare risposta a questa nuova esigenza? Non ha dubbi Marco Rivoira, ceo del Gruppo Rivoira di Verzuolo (Cuneo), tra i leader in Italia nel settore frutticolo: “È impossibile. Noi del comparto mele e kiwi siamo strutturati per fare il 30% di confezionato e il 70% di sfuso, abbiamo le linee di confezionamento già sature, oltretutto con le note difficoltà di personale legate al coronavirus e alle misure da applicare per rispettare le normative. Il rischio di chi chiede tutto confezionato in imballaggi secondari è di restare senza prodotto. Non ce la possiamo fare. Invito la grande distribuzione a fidarsi della filiera, che in questo momento è particolarmente preparata e coesa, in modo che si possa arrivare a delle decisioni condivise. Noi siamo strutturati per vendere il 70% di sfuso e il 30% di confezionato: queste percentuali non puoi modificarle da un giorno all’altro, non in piena emergenza sanitaria da coronavirus”.

                      “Credo – prosegue Marco Rivoira – che oggi la priorità sia garantire ai consumatori finali la possibilità di acquistare frutta e ortaggi freschi, non complicare il lavoro ai fornitori che già stanno facendo i salti mortali per rispettare le consegne. La cosa non è scontata, nelle prossime settimane e mesi, ne parlano anche i grandi quotidiani, dato che manca la manodopera straniera nei campi e il tempo avverso ha compromesso in diverse parti d’Italia la frutta estiva. Noi ci stiamo organizzando, intercettando la manodopera italiana ora priva di occupazione dei settori economici che si sono fermati, come quello del turismo. Abbiamo anche dato una maggiorazione in busta paga al personale sotto forma di premio del 20% dal mese di marzo, un riconoscimento per la situazione in cui stanno operando. La produttività oggi è ridotta per via delle misure per contenere il coronavirus, i costi sono aumentati più o meno del 15%, la grande distribuzione non ci riconosce questi maggiori costi. Ripeto, non ci sono le condizioni per passare al 100% di confezionato e abbandonare lo sfuso: mancano i macchinari, le linee di confezionamento, il personale e la logistica per consentirlo. Una parziale soluzione, considerando anche le mutate frequenze e modalità di acquisto dei consumatori, potrebbe essere la vendita a collo o in maxi formati, come le padelle da 3 o 4 chili, con film protettivo a chiusura”.

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