di Massimiliano Lollis
Sono sempre più numerosi i consumatori che in Germania scelgono di consumare meno carne, preferendo ai prodotti di origine animale alternative vegetariane o vegane. Il trend – presente anche nel nostro Paese – però non è sempre sinonimo di sostenibilità per l’ambiente: come noto, la soia dalla quale si ricava la maggior parte di questi prodotti è infatti causa di deforestazione in diverse zone del mondo dove è prodotta, oltre ad essere un alimento che può presentare rischi per gli allergeni che contiene.
Come riporta la Fondazione federale tedesca per l’ambiente (DBU), l’Università di Scienze Applicate Hamm-Lippstadt in Germania ha messo a punto un progetto per produrre un alimento molto simile alla carne in quanto a gusto, valore nutrizionale e consistenza, ma vegan al 100% e, soprattutto, ricavato dagli scarti vegetali – come residui di mela, cipolla o carote – dell’industria alimentare. Una polpa che, secondo i ricercatori, potrebbe vantare le migliori qualità della carne rossa. Questo progetto – che ha ricevuto un finanziamento di 425 mila euro dalla Fondazione federale tedesca per l’ambiente – rispetto ai diversi prodotti già in commercio e sempre più popolari in Usa – starebbe proprio nella sua sostenibilità a tutto tondo, anche perché gli scarti verranno ricavati da aziende alimentari della regione.
“La produzione e il consumo di prodotti di origine animale – afferma il responsabile del progetto, Thomas Kirner – sono sempre più oggetto di critiche, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità”. In effetti in Germania – e non solo – cresce la percentuale di consumatori che, per ragioni ambientaliste, salutiste o etiche, sceglie di non consumare carne, o ridurne il consumo all’interno della propria dieta. Secondo dati del Ministero federale tedesco dell’alimentazione e dell’agricoltura (come riporta la DBU), il 6% dei tedeschi oggi sarebbe vegetariano o vegano.
E la tendenza non sfugge al mercato. Sono diverse le aziende che non hanno perso tempo, portando nella grande distribuzione prodotti sostitutivi vegani o vegetariani che fino a poco tempo prima erano considerati di nicchia. “La scelta oggi è molto ampia – spiega Wiese-Willmaring, food officer della Fondazione federale tedesca per l’ambiente (DBU) -, ma non dimentichiamo che molti di questi prodotti sono a base di soia. Nei Paesi in cui questa viene coltivata, le foreste pluviali vengono disboscate, e si utilizzano pesticidi. Inoltre, la soia è priva di vitamina B12, di cui diversi prodotti di origine animale ne sono invece ricchi”. La B12, vitamina che svolge un ruolo importante in molti processi del corpo umano e presente nella carne, nei latticini e nelle uova, è infatti pressoché assente nella dieta vegana, e per questo spesso deve essere assunta attraverso integratori in compresse o prodotti specifici.
Il progetto – sviluppato dall’ateneo tedesco in collaborazione con Quh-Lab Lebensmittelsicherheit (Siegen) e Oltmer Food Consulting (Edewecht) – vede l’adozione di un procedimento solo all’apparenza semplice: “Stiamo testando – spiega Kirner – l’utilizzo di alcuni funghi per far fermentare gli scarti di frutta e verdura, ad esempio quelli derivanti dalla produzione di succhi di frutta. Utilizziamo la luce ultravioletta per ricavare vitamina D2 dalle sostanze naturali dei funghi. In più – spiega, – i microrganismi arricchiscono naturalmente il prodotto con la vitamina B12, rendendo così superflua l’aggiunta di vitamine artificiali”. Il risultato è una biomassa vegana ricca di proteine e vitamine, che può essere ulteriormente trasformata in prodotti sostitutivi della carne.
Il metodo, che è già stato testato con successo in laboratorio, è ora pronto per la sperimentazione a livello industriale. La prima fase vedrà la produzione concentrata in un fermentatore da 40-50 litri, attraverso il quale si intende sviluppare un processo produttivo costante, cosa non facile viste le diverse caratteristiche organolettiche dei funghi e dei componenti utilizzati, che richiedono quindi condizioni differenziate in quanto ad ossigeno e temperatura. Il procedimento verrà poi adattato su scala sempre maggiore, puntando alla produzione in un fermentatore da 500 litri: a quel punto si potrà valutare il ciclo produttivo e la sostenibilità economica del progetto.
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